Spetta anche al sindaco della srl risarcire la curatela della società fallita perché non ha impedito agli amministratori di distrarre i fondi dalle casse della società invece di pagare le imposte. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 11884 del 18 giugno 2020. IL FATTO Il sindaco di una società fallita veniva condannato per i danni cagionati ai creditori per atti di mala gestio e di mancato controllo. La curatela del fallimento aveva, infatti, promosso innanzi al Tribunale di Firenze, ai sensi dell'art. 146 legge fall., azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita e dei sindaci per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti dalla massa creditoria, quantificati in euro 4.500.000,00, oltre rivalutazione, interessi e spese. La curatela aveva esposto, a sostegno della domanda, che la società fallita era stata costituita nel 1981 dalla Confcommercio di Firenze (Ascom), quale società di servizi per i propri iscritti, come ulteriore supporto operativo integrante una rete di servizi. Il giudice del gravame ha evidenziato che il primo profilo di responsabilità era rappresentato dall'evasione di imposte, precisando che il cumulo di sanzioni e interessi, provocato dalla scelta degli amministratori, di destinare le risorse finanziarie della società ad impieghi diversi rispetto a quelli relativi alla soddisfazione di debiti tributari risultava integrare causa e fattore di colpevole lesività degli interessi creditori ed osservando che il danno risarcibile, a tale titolo, doveva essere quello già fissato dal giudice di primo grado, nella somma complessiva di euro 186.779,78. La corte territoriale ha ritenuto invece che, in ordine ai danni da omessa svalutazione dei crediti, le valutazioni del Tribunale non fossero convincenti, posto che non era stata acquisita prova certa delle lesività patrimoniali effettivamente associabili alle evidenze contabili, che avrebbero potuto anche esprimere un mero fittizio incremento documentale dell'attivo. La Corte di merito ha inoltre ritenuto infondati i gravami laddove sostenevano, in relazione ai danni distrattivi, che gli esborsi fossero legittimati da vantaggi compensativi infragruppo, in quanto al presunto vantaggio compensativo - collegato con la messa a disposizione delle altre società del gruppo di beni immobili, beni strumentali ovvero servizi - avrebbe dovuto corrispondere la possibilità di usufruire da parte della società fallita di altrettanti beni o servizi, situazione invece non verificatasi. In merito alla responsabilità degli amministratori, la Corte territoriale ha evidenziato che i fatti lesivi erano talmente macroscopici e continuativi nel tempo, da non potersi sottrarre alla sfera di conoscenza (e, dunque, di responsabilità) dei membri del consiglio di amministrazione della fallita e che, sul piano del nesso causale, sarebbe stato sufficiente, per ciascun membro del consiglio di amministrazione, denunciare a verbale i fatti illeciti rilevati, per costringere il consiglio di amministrazione a deviare rispetto a tali fatti così accertati. In relazione alla responsabilità dei sindaci, la Corte di appello ha evidenziato come, anche in questo caso, sarebbe risultato sufficiente denunciare le predette irregolarità onde impedirne la continuazione. Per converso, la colpevole omissione di vigilanza implicava, a carico dei sindaci, corresponsabilità e obbligo risarcitorio, ai sensi dell'art. 2407, comma secondo, cod. civ.. La Corte di merito ha, inoltre, evidenziato, per quanto qui ancora di interesse, che la condanna risarcitoria inflitta al presidente del collegio sindacale, si fondava non solo sulle ragioni generali già espresse per la responsabilità a titolo di omissione di controllo, ma si caratterizzava per un maggior livello di riprovevolezza, avendo svolto il ruolo di commercialista di fiducia del gruppo ed avendo contribuito, in modo determinante, all'elaborazione della strategia gestionale del gruppo. Nel ricorso per cassazione, il sindaco della Srl ha evidenziato come nulla avrebbe potuto fare in termini di controllo, rispetto ai fatti accaduti durante l'esercizio 2003. Anzi, sarebbe stato omesso da parte della Corte territoriale l'esame della documentazione prodotta, da cui emergeva un'assidua attenzione del collegio sindacale alla questione del mancato pagamento dei tributi ed una continua sollecitazione agli amministratori in tal senso, essendo peraltro sfuggita ai giudici del merito la circostanza secondo cui, al momento della redazione del bilancio 2002, era ancora pendente il termine per il condono la cui scelta (in termini di avvalersene o meno) era, comunque, rimessa agli amministratori. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Ad avviso degli Ermellini la richiesta di rivalutazione dell'ambito di responsabilità del sindaco anche per i fatti del 2003 richiederebbe alla Corte di legittimità di rivalutare il compendio probatorio, a fronte, peraltro, di una motivazione che spiegava, in termini convincenti e senza aporie logiche, che la responsabilità del presidente del collegio sindacale anche per tale periodo si rintracciava nella circostanza che le condotte di omesso controllo del predetto collegio risalivano a fatti già cristallizzati negli esercizi precedenti ed i cui effetti si ripercuotevano anche nell'esercizio in contestazione.