Posto fuor di dubbio che il dipendente pubblico viene meno ai propri doveri d'ufficio dando informazioni inesatte allo sportello aperto al pubblico, per il risarcimento va comunque dimostrato, al di là dell'inadempimento, la produzione del danno dallo stesso arrecato. Nella sentenza n. 17052 del 26 giugno 2019 della Corte di Cassazione si legge che la decisione impugnata e ora cassata ha contemporaneamente riconosciuto l'illecito del funzionario e l'insufficiente incidenza causale nella sfera di chi aveva richiesto informazioni e le aveva ottenute errate. Questo per una circostanza di fatto che avrebbe comunque reso inutili anche le eventuali informazioni esatte. Ma la mancanza del nesso causale - affermata dai giudici di merito - tra il comportamento del dipendente e il danno lamentato non impedisce alla Cassazione e ora al giudice del rinvio di procedere a un nuovo esame sulla responsabilità civile in quanto la sentenza impugnata ha affermato l'erroneità delle informazioni date. Non è quindi sostenibile la tesi del ricorso incidentale secondo cui la negazione da parte del giudice di merito del danno risarcibile - per la mancanza del nesso causale - avrebbe determinato la formazione del giudicato sull'insussistenza del fatto illecito ascritto al dipendente. Nel caso specifico il nesso causale veniva negato perché - secondo i giudici di merito - anche se il ricorrente avesse ottenuto le informazioni esatte non sarebbe stato comunque in grado, per circostanze di fatto, di ottenere il diritto che voleva conseguire. Da cui lo scollegamento tra illecito della Pa e il danno emergente e il lucro cessante posti alla base della domanda risarcitoria. Il ricorrente, infatti, riteneva di aver perso l'immatricolazione al corso universitario di medicina perché l'addetto allo sportello della segreteria di facoltà aveva affermato che aveva ancora un anno di tempo per pagare le rate degli anni fuori corso e sostenere il cosiddetto esame suicida - cioè a sicuro esito negativo - ma giustificato dal solo scopo di non perdere il riconoscimento del pregresso percorso universitario. Secondo la Corte di appello la prospettazione di avere ancora davanti a sè un anno di tempo aveva sì determinato l'attesa da parte del richiedente con la conseguente decadenza dall'immatricolazione, ma anche se l'informazione fosse stata corretta comunque non avrebbe potuto garantire il raggiungimento dello scopo. Tale inutilità dell'informazione che veniva richiesta è stata erroneamente affermata dai giudici di merito perché calcolavano gli otto anni successivi all'immatricolazione entro cui evitare la decadenza, sotto forma di anni solari e non accademici. La Cassazione richiama il Tar Abruzzo sull'interpretazione della norma (articolo 149 del Rd 1592/1933) che allo studente che non sostiene esami per otto anni consecutivi commina la decadenza. Quindi l'informazione richiesta a marzo 1983 sarebbe stata comunque utile vista la coincidenza con l'ultimo anno accademico utile per sostenere l'esame e la non remota possibilità di una sessione di esame successiva al mese di marzo.