L’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, sussiste solo se la sanzione e la pretesa in ordine al tributo, viaggino su binari paralleli. In tutti gli altri casi l’Ufficio non deve adempiere questo ulteriore adempimento. Questo il chiarimento della Corte du Cassazione con l’ordinanza n. 14259 del 2 maggio 2024. IL FATTO Una società in liquidazione, nelle more estinta, ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2007, con il quale venivano accertate maggiori IRAP e IVA e irrogate sanzioni. All'avviso di accertamento nei confronti della società contribuente facevano seguito due avvisi nei confronti dei soci per maggiore IRPEF, a loro imputata per trasparenza ex art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Gli avvisi, i quali facevano seguito a PVC, venivano redatti a termini dell'art. 39, secondo comma, lett. c) d.P.R. 29 settembre 193, n. 600 per avere la società contribuente smarrito la documentazione contabile durante le operazioni di verifica. I contribuenti hanno contestato il presupposto in base al quale l'avviso è stato emesso, nonché hanno contestato nel merito l'accertamento, deducendo l'omessa motivazione in punto sanzioni. In particolare, nel ricorso per cassazione la società ha censurato la decisione del giudice di appello per non essersi pronunciato sull'eccezione di difetto di motivazione dei provvedimenti impugnati quanto all'irrogazione delle sanzioni. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’obbligo di motivazione dell'atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall'art. 16, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non contestualmente e unitamente all'atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest'ultimo caso, viene assolto per relationem se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali (Cass., Sez. V, 4 maggio 2021, n. 11610; Cass., Sez. V, 2 marzo 2022, n. 6944). Per quanto il giudice di appello non si sia espressamente pronunciato su tale specifico motivo di doglianza, il giudice di legittimità, quale giudice del fatto processuale, può pronunciarsi nel merito delle relative censure ove le suddette non richiedano un nuovo accertamento in fatto, come nel caso di specie, rilevandosi l'infondatezza nel merito della censura per essere l'atto irrogativo delle sanzioni contestuale all'accertamento dei maggiori tributi. Con l'occasione, i giudici ricordano che qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l’obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass., Sez. U. n. 6070/2013).