Imprenditori e professionisti in regime forfetario non sono tenuti ad operare le ritenute alla fonte (articoli 23-30, D.P.R. n. 600/1973). Fino ad oggi, però, per i rapporti di lavoro svolti alle dipendenze di questi soggetti non erano sorti grandi problemi operativi, in quanto potevano rientrare nel regime agevolato solo coloro che non avevano sostenuto spese per lavoro per un ammontare superiore a 5.000 euro lordi. Poiché, invece, dal 1° gennaio 2019 la platea dei contribuenti forfetari si è notevolmente allargata e molti di più sono ora coloro che possono rientrare nel regime agevolato grazie all’ampliamento della soglia di ricavi/compensi a 65.000 euro, in questo ambito saranno maggiormente corrisposte anche retribuzioni per prestazioni di lavoro dipendente, ma l’art. 1, comma 69, della legge n. 190/2014 non è stato modificato dalle recenti novità: ciò equivale a confermare che i forfetari non hanno ancora alcun obbligo di effettuare le ritenute fiscali sulle retribuzioni dei dipendenti ed è proprio la persistenza di tale esonero a poter generare problemi per l’effettuazione dei corretti adempimenti tributari complessivi. Esonero dalle ritenute: con quali conseguenze? Dal 2019, infatti, il dipendente dell’imprenditore forfetario riceve la propria retribuzione non già al netto delle ritenute fiscali e, quindi, senza adeguata conoscenza che la sua retribuzione è stata corrisposta al lordo dei tributi dovuti, il lavoratore potrebbe non accantonare quella parte della retribuzione per adempiere in proprio al pagamento delle imposte dovute in autotassazione, oppure scegliere deliberatamente di non farlo, alla stregua di tutti coloro che omettono di versare i tributi preferendo pagare a rate il dovuto solo a seguito delle notifiche degli atti di controllo al fine di finanziarsi impropriamente con risorse erariali. Naturale prospettiva di tale scenario sarebbe un aumento dei casi di omissioni di presentazione dei modelli dichiarativi (730/Redditi) o, comunque, di mancati versamenti tributari delle imposte dovute da parte di lavoratori dipendenti, consapevoli, o meno, della necessità di doverlo fare. Ne deriverebbe un effetto di innesco inevitabile di accertamenti automatici, ai sensi dell’art. 41-bis, D.P.R. n. 600/1973, generati dall’incrocio dei dati forniti dal datore di lavoro forfetario all’Anagrafe tributaria che, sebbene non obbligato alla presentazione del modello 770, in conseguenza della corresponsione di retribuzioni da lavoro deve comunque indicare nella sua dichiarazione dei redditi il codice fiscale del percettore e l’ammontare dei compensi erogati nei righi RS371, RS372 e RS373 del modello Redditi. Sul punto, vale la pena anche di rammentare che, con risposta ad interpello n. 954-881/2017 del 19 maggio 2017, la DRE Campania aveva già precisato che i contribuenti in regime forfetario che hanno sostenuto spese per lavoro dipendente erano già tenuti a compilare, rilasciare e ad inviare la Certificazione Unica per la sezione relativa ai dati previdenziali e assistenziali. Ulteriormente, rispetto al medesimo rapporto di lavoro dipendente e fermo l'esonero dall'applicazione delle ritenute alla fonte e dalla presentazione del modello 770, la prassi aveva già previsto anche l'onere di informare il percettore che i compensi erano stati corrisposti al lordo delle ritenute. L’intervento del legislatore Ora, invece, è il legislatore ad avvertire la necessità di intervenire per porre anche definitivamente fine a situazioni di incertezza, atteso il fatto che anche la dottrina migliore ha recentemente sostenuto che nel regime agevolato si potessero, con il consenso del dipendente, facoltativamente anche operare ritenute alla fonte, alimentandosi così ulteriori ipotesi di confusione operativa. In conclusione, se gli annunci di modifica dovessero tradursi in legge, per i dipendenti il datore di lavoro forfettario assumerà le vesti di sostituto d’imposta e, al momento dell’erogazione dello stipendio mensile esso applicherà in busta paga non soltanto le ritenute previdenziali ma pure quelle fiscali, a tutto vantaggio anche delle attività di accertamento dell’Agenzia delle Entrate. Ricondurre, infatti, il lavoratore dipendente a poter percepire la retribuzione naturale “al netto” a prescindere dal regime fiscale del suo datore di lavoro, sarà utile non solo alle casse dell’Erario, ma anche alla semplificazione operativa delle attività di controllo del Fisco che, non ultimo, in questo modo eviterebbe anche di essere gravato da migliaia di modelli 730 “senza sostituto”, da parte di quei contribuenti che, alla stregua di colf e badanti con datore di lavoro privato, avrebbero richiesto assistenza alle Entrate per effettuare la liquidazione del loro eventuale rimborso IRPEF.