Quali sono gli obblighi del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro? E le previsioni del T.U. n. 1124/1965 in favore dei lavoratori? Cosa prevede inoltre l’articolo 2087 c.c.? Il documento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Il rischio infortunistico: tutela delle condizioni di lavoro e responsabilità datoriale” approfondisce questi aspetti, fornendo una ricognizione sul tema della sicurezza e della salute dei lavoratori, chiarendo quali sono i confini applicativi della responsabilità datoriale previsti e l’esercizio di delega. Ad arricchire l’approfondimento, il recente orientamento giurisprudenziale di legittimità sul rischio generico gravante sul lavoratore ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e dell’individuazione della responsabilità in capo al datore di lavoro. La responsabilità del datore Il datore di lavoro è a capo dell’organizzazione produttiva, ne determina le scelte fondamentali gestendo in concreto i rapporti di lavoro dei propri dipendenti e, più in generale, l’intero assetto produttivo, ai fini della realizzazione degli scopi produttivi dei beni o dei servizi cui l’organizzazione aziendale è preordinata e si svolge sotto la sua direzione. Tale ruolo, la sua collocazione nell’ambito della organizzazione produttiva, giustificano l’ampiezza delle previsioni contenute dall’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di preservare la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro, richiedendogli la predisposizione di tutte le misure idonee, secondo l’esperienza, la tecnica e la particolarità del lavoro, a prevenire situazioni di danno per la salute fisica e la personalità dei lavoratori, sulla base del principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile, in forza del quale le possibilità offerte dalla tecnica divengono l’effettivo limite di operatività degli obblighi di prevenzione. Ai sensi dell’art. 2087 c.c. l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Quello fissato dall’art. 2087 c.c. è giustamente considerato un principio d’ordine generale della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, e la formulazione dell’articolo una clausola generale che garantisce l’adattabilità ai mutamenti della scienza, della tecnica, della realtà economico-sociale, che riveste una funzione di garanzia generale, la cui efficacia integrativa consente di ritenere l’obbligo (e quindi la responsabilità) datoriale anche ove manchi una specifica misura preventiva, essendo comunque tenuto il datore di lavoro ad adottare tutte le misure di prudenza e diligenza e ogni cautela necessaria a garantire l’integrità psico-fisica del lavoratore. L’obbligo contrattuale sancito dall’art. 2087 c.c. ha natura autonoma e non accessoria. L’imprenditore, anche indipendentemente da specifiche disposizioni normative, è tenuto a porre in essere tutti gli accorgimenti e le misure tese a evitare il verificarsi di lesioni di beni primari come la salute e l’integrità fisica, secondo un criterio di massima sicurezza tecnologicamente possibile. Cosicché, la violazione dell’obbligo si determina non solo quando si violano misure tassativamente previste dalla legge, ma anche quando si omette di adottare ogni misura che sia esigibile dal lavoratore secondo le regole di correttezza e buona fede. Il pur ampio ambito operativo della norma però, non esclude che questa abbia comunque dei confini delimitati. È pacifico infatti che la clausola generale contenuta dall’art. 2087 c.c., non può imporre al datore di lavoro l'obbligo di garantire un ambiente di lavoro a rischio zero quando di per sé il rischio di una lavorazione o di una attrezzatura non sia eliminabile. Egualmente non può pretendersi l'adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili. Ciò perché è vero che l’obbligo di prevenzione impone al datore di lavoro di uniformarsi autonomamente al progresso tecnologico, a prescindere dalla verifica della codificazione di tali nozioni in regole tecniche condivise o disposizioni normativa; tuttavia, da detta norma non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta a evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato. Occorre invece che l'evento sia riferibile a sua colpa, dal momento che la colpa costituisce, comunque, l’elemento fondante della responsabilità contrattuale del datore di lavoro. Responsabilità ampia dunque, ma pur sempre regolata dai canoni consueti della attribuibilità della colpa, perché alla responsabilità in discorso non può riconoscersi una natura oggettiva: il lavoratore è pur sempre gravato dell’onere di provare l’esistenza di un danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, il nesso eziologico tra i due momenti, mentre il datore di lavoro è gravato dell’onere di dimostrare l’adozione di tutte le cautele necessarie a evitare il danno. Dal punto di vista oggettivo l’operatività della norma è circoscritta alla cosiddetta “occasione di lavoro”. È perciò rilevante ogni fatto riconducibile alla prestazione lavorativa, anche a prescindere dallo svolgimento dell’attività stessa, purché il lavoratore si trovi presso i locali aziendali, per ragioni necessitate o comunque connesse allo svolgimento della prestazione lavorativa che gli incombe. La responsabilità che consegue in applicazione dell’art. 2087 c.c. è direttamente individuata in capo al datore di lavoro. Pertanto anche quando determinate funzioni vengano delegate, per ragioni organizzative o perché previste da specifiche norme di legge, tali disposizioni non mutano l’onere in discorso, che rimane in capo al datore di lavoro, comunque tenuto ad adottare tutte le misure possibili per la tutela dell’integrità psico-fisica dei prestatori di lavoro. Il riferimento al concetto di responsabilità evoca immediatamente la tenutezza per il risarcimento dei danni. Il datore di lavoro è chiamato a rispondere dell’inadempimento all’obbligo della garanzia della tutela delle condizioni di lavoro. La norma però ha innanzitutto uno scopo di prevenzione dei rischi. L’obbligo contenuto è diretto infatti a realizzare sostanzialmente la sicurezza dei luoghi di lavoro e delle persone che vi accedono per servizio. Così, anche per quanto riguarda il contenuto dell’art. 2087 c.c., il legislatore ha previsto strumenti che immediatamente, ancor prima della realizzazione della situazione effettiva di danno, sanzionano il datore di lavoro inadempiente per effetto della verifica di situazioni di potenziale pericolo ma, soprattutto, prescrivendo ai fini della estinzione della violazione, specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro. Sempre ai fini della effettività della garanzia della tutela richiesta dal codice civile, il datore di lavoro è onerato della individuazione di mansioni adeguate alle condizioni di salute del lavoratore, quando l’inidoneità a quelle a cui era precedentemente addetto è venuta meno per una patologia conseguente proprio allo svolgimento di quelle mansioni. In tale ipotesi va riconosciuto al lavoratore il diritto di pretendere e, correlativamente, affermato l'obbligo, ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di ricercare una collocazione lavorativa non pretestuosa ma idonea a salvaguardare la salute del dipendente nel rispetto dell'organizzazione aziendale. Ciò comporta che il datore di lavoro, esercitando lo ius variandi nel rispetto sia dei canoni della correttezza e della buona fede che delle regole poste a salvaguardia della salute dei dipendenti, dovrà cercare di adibire il lavoratore alle stesse mansioni o ad altre equivalenti e, solo se ciò è impossibile, a mansioni inferiori. Natura della responsabilità datoriale e oneri probatori La responsabilità cui è tenuto il datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. è di natura contrattuale, approdo pacifico al quale si è giunti dopo il contemporaneo sostenimento di tesi differenti, conflitto risolto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per le quali la natura contrattuale della obbligazione datoriale deve ritenersi ogni qualvolta che la domanda sia espressamente fondata sull'inosservanza del precetto dell’art. 2087 c.c. o delle altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro dipendente. Si tratta a ben vedere della soluzione naturale rispetto alle considerazioni premesse in ordine alla funzione dell’art. 2087, posto quale norma cardine delle obbligazioni cui è tenuto il datore di lavoro, in ragione della natura fondamentale dei diritti alla cui tutela è preordinato. Responsabilità contrattuale che impone comunque un onere probatorio in capo a chi lamenta l’inadempimento o la lesione di propri diritti, poiché nella pur estesa operatività dell’obbligo cui è tenuto il datore di lavoro ex art. 2087 c.c., non può comunque intravedersi un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, che implica perciò una valutazione che tenga conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico, senza che possa ascriversi in capo al datore di lavoro un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile e innominata diretta a evitare qualsiasi danno. La natura contrattuale dell’obbligazione datoriale impone infatti al lavoratore che subisce l’inadempimento l’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale e anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore (il datore di lavoro) ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure dei prestatori di lavoro. Ciò perché l’art. 2087 c.c. configura una obbligazione contrattuale per effetto della integrazione operante ai sensi dell’art. 1374 c.c.. La natura contrattuale della responsabilità datoriale, semplifica l’onere probatorio in capo al lavoratore che avanzi pretese risarcitorie per i danni patiti a causa della violazione dei doveri di tutela della sua integrità psico-fisica. Chi lamenti un danno subito per tali ragioni e ne richieda il risarcimento, non deve dimostrare la colpa o il dolo del datore di lavoro, avendo soltanto l’onere di provare la condotta illecita e il nesso causale tra questa e il danno patito, mentre è sul datore di lavoro che incombe – ex art. 1218 c.c. – l’onere di provare la propria assenza di colpa. Da quanto premesso emerge un grado di diligenza specifica richiesta al datore di lavoro che rende la dimostrazione alternativa della non imputabilità dell’accaduto particolarmente gravosa, perché il datore di lavoro è un “debitore di sicurezza”, con l’ampiezza di contenuti obbligatori dipendente dall’art. 2087 c.c. Tuttavia l’affermazione di principio è radicale e presente e colloca la responsabilità datoriale pur sempre in un alveo di natura contrattuale, così che, come già ricordato, seppure con le difficoltà materiale che possono incorrere nelle singole fattispecie, l’obbligazione del datore di lavoro in termini di adempimento dei doveri di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, deve sempre essere valutata in termini di colpa – inadempimento, con l’esclusione della stessa ogni qualvolta i connotati dell’accaduto presentino i caratteri della imprevedibilità ed inevitabilità, tali da costituire ipotesi di caso fortuito. Pur nel così ampio spettro dell’obbligo datoriale, la responsabilità in esame risponde sempre alle regole del tipo soggettivo, dovendosi escludere ogni automaticità tale da poter desumere dal mero verificarsi del danno l’inadeguatezza delle misure di protezione eventualmente non adottate. Incombe pur sempre sul lavoratore infatti, l’onere di provare non solo l’esistenza del danno alla salute che lamenti di aver subito a causa dell’attività lavorativa, ma anche la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché – circostanza risolutiva – il nesso tra l’uno e l’altro elemento. In particolare nell’ambito della distribuzione dell’onere probatorio, della considerazione del danno, della verifica della prova da parte del datore di lavoro di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, il comportamento del prestatore di lavoro assume un ruolo non del tutto irrilevante. Il comportamento imprudente del dipendente non solleva in automatico il datore di lavoro dalle proprie responsabilità in tema di sicurezza e tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza dello stesso. Ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente. L’ampiezza dell’obbligazione datoriale, che si estende al dovere, oltreché di prevedere e impartire le direttive di sicurezza, di vigilare affinché tali indicazioni vengano correttamente osservate, è tale da rendere relativo l’inadempimento del dipendente, tanto da poter rilevare questo anche soltanto in relazione alla quantificazione del danno da risarcire. L’eventuale condotta colposa del dipendente infatti, può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti il carattere dell'abnormità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, e, in difetto di tali caratteri, il comportamento colposo del lavoratore che può sussistere anche qualora l’imprenditore non abbia adottato le misure antinfortunistiche del caso può soltanto comportare la riduzione, in misura proporzionale, del risarcimento del danno. Tuttavia l’assetto determinato dalla giurisprudenza non può spingersi sino a poter ritenere del tutto irrilevante il comportamento del dipendente, che a propria volta deve rendersi adempiente rispetto alla obbligazione che gli impone di prestare la propria attività lavorativa con adeguato grado di diligenza, perlomeno utile, alla luce dell’attuale campo d’indagine, a sottrarlo da danni estranei alla prestazione lavorativa stessa. Il lavoratore infatti non va risarcito se non segue le istruzioni impartitegli usando una condotta configurabile come imprevedibile e assolutamente anomala che presenta i caratteri dell’abnormità e dell’inopinabilità. Come confermato dalla giurisprudenza di legittimità infatti, alla stregua dell’art. 2087 c.c., non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione anche in relazione a condotte del dipendente che, pur non rientranti nella nozione di inopinabilità e di abnormità, siano state poste in essere successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, perché non rientranti nella suddetta prestazione e perché effettuate senza darne allo stesso preventiva comunicazione secondo le direttive impartite. Corollario di tale principio è che la parte datoriale non incorre nella responsabilità in esame per non avere fornito le attrezzature necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione né di non avere esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti. Accanto alla assoluta imprevedibilità del rischio si pone quella del comportamento, con riferimento al c.d. “rischio elettivo”, inteso come quello che esclude la cosiddetta “occasione di lavoro”, rappresentato da una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell’attività lavorativa a prescindere da essa, idonea a interrompere il nesso eziologico tra prestazione e attività assicurata. Pertanto, il lavoratore che avanza la pretesa risarcitoria in applicazione dei doveri e della responsabilità di cui all’art. 2087 c.c., è soggetto all’onere di allegare l’esistenza del fatto materiale e delle regole di condotta che assume essere state violate, nonché, di dimostrare come la parte datoriale abbia posto in essere un comportamento contrario alle clausole contrattuali, alle norme inderogabili di legge, ovvero, alle regole generali di correttezza e buona fede che, nell’esercizio dell’impresa, impongono l’adozione di tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. In conclusione Ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno e della individuazione della responsabilità in capo al datore di lavoro, si può affermare che: “il rischio generico, gravante sul lavoratore come su di ogni altra persona, rientra nell’oggetto dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, quando sussiste tra il sinistro e la prestazione lavorativa un nesso causale tale da rendere l’infortunio attinente alle mansioni svolte, in relazione alle modalità concrete dell’evento ed alle maggiori probabilità che esso si verifichi nel corso dello svolgimento di una determinata attività” (cfr. Corte di cassazione – ordinanza 07 ottobre 2022, n. 29300). Ai fini della responsabilità del datore di lavoro, si può riassumere che: • “la responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. non è una responsabilità oggettiva, ma colposa, dovendosi valutare il difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire danni per i lavoratori, in relazione all’attività lavorativa svolta, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a fronteggiare ogni causa di infortunio, anche quelle imprevedibili” (cfr. Cassazione penale sez. IV, 05/04/2019, n. 16228); • il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695); • il lavoratore ove agisca verso il datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio, ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c. (Cass. n. 10319 del 2017; n. 14467 del 2017; n. 34 del 2016; n. 16003 del 2007); • la responsabilità datoriale in caso di infortunio sul lavoro derivante da eventi atmosferici è generalmente esclusa qualora l'evento sia qualificabile come "forza maggiore", ossia un evento imprevedibile ed inevitabile, di intensità tale da vincere anche eventuali sistemi di protezione e sicurezza.