Con la sentenza n. 894 del 17 gennaio 2020, la Corte di Cassazione ha confermato il proprio orientamento, in base al quale, non è possibile lamentare al giudice di legittimità un’erronea ricognizione della fattispecie concreta perché esula dall’interpretazione della norma e inerisce la tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato della Cassazione, se non nei limiti del vizio di motivazione. Inoltre in tema di rimborsi IVA, per il periodo anteriore al 4 luglio 2006, continua ad avere applicazione il principio dettato dall’art. 1283 c.c. che prevede il calcolo degli interessi anatocistici sulle somme dovute a titolo di ritardato rimborso. IL FATTO Una società, divenuta cessionaria di un credito IVA da un fallimento, presentava istanza di rimborso all’Ufficio che veniva ignorata con la conseguente formazione del silenzio rifiuto. Avverso tale decisione la contribuente presentava ricorso adducendo la spettanza del credito correttamente indicato nella dichiarazione dei redditi ed evidenziando anche l’avvenuta notifica dell’atto di cessione all’Ufficio. La CTP accoglieva il ricorso. Avverso detta decisione veniva proposto appello da parte dell’Ufficio. Il giudice di seconde cure rigettava il gravame. L’Ufficio ricorreva per Cassazione, lamentando che la CTR avesse invertito l’onere della prova a svantaggio dell’amministrazione respingendo le circostanze ostative al rimborso rappresentate dall’Ufficio, tra le quali anche l’asserito divieto di cessione parziale del credito ottenuto dalla società antecedentemente. Lamentava, altresì, il riconoscimento degli interessi anatocistici sulle somme dovute per il ritardato rimborso. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Ufficio. Innanzitutto la Suprema Corte dà conto di come il giudice d’appello sulla base di un libero apprezzamento non sindacabile in sede di legittimità, avesse ritenuto provato il credito richiesto con l’istanza di rimborso. Ciò, non solo in ragione della indicazione dello stesso nella dichiarazione dei redditi, ma anche in virtù di altre circostanze idonee a corroborarne la sussistenza e l’entità come l’avvenuta notificazione nei confronti dell’Ufficio, dell’atto di cessione del credito. Inoltre non vi erano prove da parte dell’Ufficio sulla circostanza che il credito indicato in dichiarazione fosse stato riportato in compensazione e che per quell’annualità vi fosse stata una richiesta di rimborso per una somma non compresa nell’atto di cessione. Secondo i giudici, l’Ufficio si era limitato a contestare il credito senza fornire né una contezza formale alle circostanze che impedivano il rimborso né idonea documentazione. Di conseguenza la riproposizione anche in sede di legittimità delle medesime doglianze avanzate nei precedenti gradi di giudizio tendeva a promuovere una ricostruzione della fattispecie concreta difforme rispetto a quanto era stato accertato dai giudici di appello, che avevano deciso a favore della legittimità del diritto al rimborso richiesto. Per le stesse ragioni, evidenziano i giudici di legittimità, con la proposizione del mezzo di impugnazione, il ricorrente non poteva contrapporre un difforme apprezzamento in fatto rispetto a quello reso dai giudici di merito atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove era comunque sottratto al sindacato di legittimità. Circa gli interessi anatocistici sulle somme da rimborsare, richiamando un orientamento consolidato di legittimità la Corte rammenta che la disposizione normativa riguardante la non operatività degli interessi anatocistici sulle somme dovute a rimborso, è entrata in vigore a partire dal 4 luglio 2006, e non ha efficacia retroattiva (per il quale valeva ancora la disciplina dell’art. 1283 c.c.).