Riduzione della confisca: non basta il semplice impegno ad adempiere l’obbligo con l’Erario

La confisca (così come il sequestro preventivo ad essa preordinato) può essere adottata anche a fronte dell'impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l'evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 28488 del 14 ottobre 2020. IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte di appello di Trieste - in parziale riforma della decisione di primo grado, con cui l'imputato era stato riconosciuto colpevole del reato di omesso versamento dell'Iva ex d.lgs. n. 74 del 2000, art. 10-ter, in relazione al periodo 2012, per un ammontare pari ad euro 387.349.634,00 - ha sospeso l'efficacia della confisca disposta con tale decisione, salva la sua operatività in caso di mancato adempimento dell'obbligo assunto con l'Erario, e ha sostituito la pena inflitta con quella pecuniaria della specie corrispondente, di euro 20.000,00 di multa. Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per la mancata revoca della confisca per equivalente disposta in primo grado, benché fosse stata data prova del piano rateale di pagamento del debito tributario, concordato tra la società rappresentata dall'imputato e l'Agenzia delle Entrate. In particolare, ad avviso della difesa, l'imputato aveva già versato parte rilevante del debito tributario; cosicché la confisca non avrebbe potuto essere disposta per l'intero debito, ma unicamente per il residuo. Viene richiamata, sul punto, la giurisprudenza di legittimità secondo cui, per quanto riguarda il sequestro preventivo, la cautela può essere disposta nei limiti il cui debito rateizzato è ancora attuale, ossia al netto dei pagamenti già effettuati. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione respinge il ricorso. La Suprema Corte rileva che, nonostante l'intervenuto accordo di adesione tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non emerge dagli atti la prova di quel parziale pagamento del debito erariale cui dovrebbe corrispondere una riduzione della confisca, in applicazione del principio secondo il quale l'ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa. Gli Ermellini ricordano, sul punto, che la disposizione del d.lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2 (introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015) prevede che la confisca diretta o di valore dei beni costituenti profitto o prodotto del reato «non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro»; e la stessa deve essere intesa nel senso che la confisca (così come il sequestro preventivo ad essa preordinato) può essere adottata anche a fronte dell'impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l'evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito. Orbene la Corte territoriale, alla luce della richiamata giurisprudenza di legittimità, non avrebbe potuto disporre la caducazione della misura ablatoria in vista della integrale estinzione del debito tributario. Il sequestro preventivo, e la conseguente confisca, devono essere infatti conservati sino all'integrale effettivo pagamento del quantum evaso (tenuto conto anche delle sanzioni applicate e degli interessi), potendo le rate già versate essere tenute in conto solo ai fini della riquantificazione della misura. I giudici osservano, peraltro, che la Corte territoriale aveva sospeso l'efficacia della misura ablatoria, salva la «sua operatività caso di mancato adempimento dell'obbligo assunto con l'erario», così prendendo in adeguata considerazione quel piano rateale che l'imputato - pur nella genericità della sua prospettazione - sosteneva essere in corso di adempimento.

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