Riciclaggio: inutilizzabili le intercettazioni per provare il reato di emissione di fatture soggettivamente inesistenti

L'utilizzo delle intercettazioni nella fase di accertamento di reati e di conseguente eventuale applicazione di misure cautelari, è vietato per procedimenti diversi, ossia per quelli aventi ad oggetto fattispecie delittuose differenti, come nel caso del reato di riciclaggio rispetto all’emissione di fatture soggettivamente inesistenti. Tale divieto può essere superato solo in caso di connessione investigativa oppure soggettiva, oggettiva e teleologica o in presenza di reato continuato. A chiarirlo la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20127 dell’8 luglio 2020. IL FATTO Una persona era indagata per aver il reato di riciclaggio, in violazione dell’art. 648-bis c.p. e il GIP autorizzava la raccolta di intercettazioni, in accoglimento della richiesta del PM. Qualche anno più tardi, il medesimo soggetto veniva indagato anche per i reati di associazione per delinquere e di emissione di fatture soggettivamente inesistenti, disciplinati rispettivamente dagli articoli 416 c.p. e 8, D.Lgs. n. 74/2000. Il GIP, quindi sulla base delle risultanze delle intercettazioni raccolte per il primo reato contestato, disponeva con ordinanza l’applicazione della custodia cautelare in carcere anche per gli altri due delitti commessi. Avverso detto provvedimento, la difesa avanzava istanza di riesame che veniva accolta dal Tribunale competente, che confermava la decisione sul presupposto dell’inutilizzabilità delle intercettazioni. La decisione era confermata anche dopo un primo rinvio disposto dalla Cassazione a seguito di ricorso della Procura. Il PM ricorreva nuovamente in Cassazione, eccependo il legittimo utilizzo delle intercettazioni disposte per il reato di riciclaggio, anche per gli altri contestati (associazione per delinquere ed emissione di fatture false). LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal Procuratore Generale. I giudici di legittimità, richiamando il vigente orientamento in materia consolidato anche nelle SS.UU., hanno confermato il divieto, ai sensi dell’art. 270 cpp, di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse sono state autorizzate. Detto divieto però, prosegue la Corte, incontra dei limiti quali la presenza di un’autorizzazione ab origine, oppure l’indispensabilità per l’accertamento di delitti per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza ed in ultimo la presenza di un’accertata connessione soggettiva, oggettiva e/o teleologica. Nel caso di specie, non erano sussistenti tali requisiti per utilizzare le risultanze delle intercettazioni - raccolte per il reato di riciclaggio - anche per l’associazione a delinquere e per l’emissione di fatture soggettivamente inesistenti. Le ragioni, proseguono i giudici della Corte, sono molteplici. In primo luogo, in ottemperanza alle conclusioni raggiunte dalle SS.UU., si tratta di reati completamente differenti, con specifiche caratteristiche, che peraltro non risultano legati dalla “connessione investigativa” ex art. 371 c.p.p.. Tantomeno secondo i giudici si tratta di un unico reato commesso da più persone in concorso, di un concorso formale di reati o di una fattispecie di reato continuato. Da ultimo è stata esclusa anche la connessione teleologica, ossia quella finalizzata ad occultare od ostacolare il rilievo di reato in precedenza commessi e il reato continuato. Trattandosi così di procedimenti diversi vige di conseguenza il divieto sancito dall’art. 270 c.p.p. Da qui il rigetto del ricorso.

Riciclaggio: inutilizzabili le intercettazioni per provare il reato di emissione di fatture soggettivamente inesistenti

Inutilizzabili le intercettazioni, inizialmente disposte per riciclaggio, per provare il reato di emissione di fatture soggettivamente inesistenti

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