Poiché il giudizio tributario è di “impugnazione-merito”, il giudice, una volta valutata l’incongruità dei ricavi dichiarati rispetto ai costi sostenuti dall’impresa, ove non ritenga corretto il calcolo dell’Ufficio, può autonomamente rideterminare il maggior imponibile accertato sulla base degli elementi acquisiti dall’Agenzia. A tal fine, è legittimo determinare il nuovo reddito al pari del costo medio di un dipendente del settore di riferimento maggiorato del rischio di impresa al 40%. A fornire questo principio è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7695 del 6 aprile 2020. IL FATTO L’Ufficio rettificava i corrispettivi dichiarati da una società per l’attività di albergo, ristorante e pizzeria nel presupposto che ci fossero discordanze tra i ricavi e gli acquisti di cartoni contenitori di pizza da asporto. Inoltre, la contribuente aveva sempre chiuso gli ultimi esercizi sociali in perdita fiscale, con la conseguenza che i soci non dichiaravano alcun reddito imponibile. Il provvedimento veniva impugnato dalla società ed i rispettivi soci dinanzi alla Ctp ed il giudice di prime cure, in parziale accoglimento del ricorso riduceva del 30% i ricavi accertati. I contribuenti proponevano appello avverso la decisione. La Ctr confermando l’inattendibilità dei risultati dichiarati rispetto agli acquisti di materiale di consumo ed alle costanti perdite, rideterminava il maggior imponibile nella misura riferibile al compenso minimo di sostentamento per ciascuno dei soci che lavoravano nell’impresa. In particolare, venivano considerati 42.000 euro per ciascuno, desumibili dal costo medio di un dipendente del settore, quantificato in 30.000 euro, maggiorato del rischio di impresa pari al 40%. Avverso la decisione ricorrevano in Cassazione, sia i contribuenti sia l’Agenzia, entrambi lamentando, per la propria parte di soccombenza, un’errata valutazione delle prove a sostegno della pretesa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha innanzitutto rilevato che il giudizio tributario è di impugnazione-merito poiché non è soltanto finalizzato ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento emesso dall’Ufficio. Ne consegue così che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, ha il dovere di decidere sul merito ed accertare la maggior imposta dovuta. Nella specie, la Ctr aveva valutato la incongruità dei ricavi e dei redditi dichiarati dai contribuenti sulla base degli elementi acquisiti dall’ufficio. Senza invertire i criteri dell’onere probatorio, ha svolto un ragionamento non di equità, bensì di merito utilizzando parametri fondati sulla concreta situazione aziendale. In particolare, data l’inverosimile impossibilità di sostentamento dei soci, attese le costanti e consistenti perdite dichiarate, il Collegio di appello aveva rideterminato il presumibile reddito attribuibile, ritenendo di adeguarlo allo stipendio medio di un dipendente nel settore.