Per l’applicazione della disciplina del prezzo-valore è necessaria l’apposita dichiarazione in atto. È questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19878 del 18 luglio 2024. IL FATTO Nella controversia in commento, la competente Ctr aveva respinto l'appello proposto da un contribuente nei confronti dell'Agenzia delle entrate avverso la sentenza della competente Ctp, di rigetto del ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di liquidazione, con cui l'Agenzia delle entrate aveva ingiunto il pagamento dell’imposta di registro pari al 9% del valore degli immobili acquistati, avendo la stessa ritenuto che il contribuente non possedesse il requisito soggettivo necessario per poter accedere all'applicazione del prezzo-valore, in quanto l'operazione era da ritenersi riconducibile ad attività imprenditoriale. Avverso tale sentenza, il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione. In particolare, detto contribuente ritiene che la Ctr avrebbe errato nell'affermare che egli non avesse diritto di usufruire della disciplina del prezzo-valore soltanto perché non aveva formulato esplicita richiesta per beneficiare della determinazione del valore imponibile dell'immobile, come prevista in base all'articolo 52, commi 4 e 5 del Dpr n. 131 del 1986 (cosiddetto Tur). Inoltre, lo stesso contribuente ritiene che la Ctr avrebbe sbagliato nel ritenere che il ricorrente avesse compiuto l'acquisto immobiliare nell'esercizio della propria attività di impresa, sulla base di un'errata o omessa valutazione di un elemento decisivo, vale a dire il fatto che il contribuente, pur essendosi qualificato come imprenditore, non ha realizzato l'operazione di acquisto immobiliare a fini imprenditoriali, e pertanto, avrebbe avuto diritto di beneficiare della disciplina del prezzo- valore. L’Agenzia ha invece sottolineato la mancanza della dichiarazione resa innanzi al notaio ai sensi del comma 497 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005, rimarcando la mancanza di prova di quanto il contribuente aveva dedotto, vale a dire che gli immobili erano stati acquistati al fine di effettuare un investimento destinato alla locazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del contribuente riconoscendo la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle entrate. Al riguardo, l’invocato comma 497 dell’articolo 1 della legge n. 266 del 2005 prevede che: “In deroga alla disciplina di cui all'articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.131 del 26 aprile 1986, e fatta salva l'applicazione dell'articolo 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica n.600 del 29 settembre 1973, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all'atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell'immobile determinato ai sensi dell'articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell'atto. Le parti hanno comunque l'obbligo di indicare nell'atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento". I giudici di appello hanno rilevato la mancanza nell’atto notarile della dichiarazione del contribuente di volersi avvalere della disciplina del prezzo-valore e di possedere i relativi requisiti. In tal senso, il tenore letterale della norma richiede espressamente una iniziativa di parte che deve essere resa al notaio. Pertanto, la circostanza che la norma stabilisca che la richiesta in questione deve essere "resa al notaio all'atto della cessione" evidenzia che essa deve essere esplicitata e risultare dalla cessione: si tratta, chiarisce la Corte, di un'opzione di volontà, in quanto atto negoziale che incide sulla determinazione dell'imponibile e sull'entità del tributo da versare, che scaturisce da una scelta del contribuente, che dev'essere verificabile. Il che rileva in particolar modo nel caso di specie, in cui emerge che il contribuente si era qualificato nell’atto notarile come imprenditore. In relazione alla disciplina del prezzo-valore, si fa presente che l’Agenzia delle entrate, con circolare n. 2 del 2014, al paragrafo 6.1, ha precisato che, in presenza di determinati requisiti di natura soggettiva ed oggettiva e di specifiche condizioni, la base imponibile per l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale per i trasferimenti di immobili abitativi, è costituita dal ‘valore catastale’, a prescindere dal corrispettivo concordato in atto (sistema del prezzo-valore). Tale disciplina concretizza un sistema forfettario di determinazione della base imponibile e non può pertanto essere ricondotta nell’ambito delle previsioni agevolative in termini di riduzione di aliquote, di imposte fisse o di esenzione dall’imposta di registro, cui deve intendersi riferito l’articolo 10, comma 4, del D Lgs n. 23 del 2011 e pertanto, la sua applicazione risulta confermata anche per gli atti stipulati in data successiva al 1° gennaio 2014. Con ulteriore motivo, il ricorrente ha dedotto che i giudici d'appello, nel confondere l'attività di mediatore immobiliare da lui svolta con quella di immobiliarista, avrebbero erroneamente ritenuto che l'acquisto immobiliare in questione fosse stato compiuto nell'esercizio di attività imprenditoriale. Al riguardo, la Corte ha dichiarato il motivo di ricorso inammissibile, in quanto contrastante con un motivato accertamento di fatto da parte del giudice di appello, il cui sindacato risulta precluso alla Corte di Cassazione. La Ctr ha infatti correttamente rilevato, a conforto della decisione resa in appello, che l'attività del contribuente viene esercitata nel settore immobiliare, e che era da ritenere tipicamente imprenditoriale la decisione di rivendere, anche solo in parte, le unità immobiliari frazionate, a fronte degli interventi di ristrutturazione occorrenti, eccessivamente onerosi e antieconomici per la gestione di immobili in locazione.