L’Agenzia delle Entrate ha fornito - nella risposta a interpello n. 204 del 2019 - alcuni chiarimenti sul regime speciale per i lavoratori impatriati. Lavoratori impatriati La normativa sul “regime speciale per lavoratori impatriati” è stata emanata al fine di incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni e favorire lo sviluppo tecnologico, scientifico e culturale del nostro paese. I redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50%. Si tratta di un’agevolazione temporanea, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia, e per i quattro periodi di imposta successivi. Il criterio di determinazione del reddito si applica anche ai i cittadini dell’Unione europea che: - sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più; - hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post lauream. Tra l’altro il soggetto non deve essere stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio. Considerato che si prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni, è stato già ritenuto che la residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta costituisca il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo. Nello specifico questi soggetti possono accedere all’agevolazione a condizione che trasferiscano la residenza in Italia e si impegnino a permanervi per almeno due anni. Sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile. Le condizioni appena indicate sono fra loro alternative; pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a fare ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia. Secondo quanto previsto dalla legge sull’Anagrafe e censimento degli italiani all’estero, il cittadino italiano che intende trasferire la propria residenza all’estero per un periodo superiore a 12 mesi può dichiarare tale trasferimento direttamente al Consolato del Paese di emigrazione, oppure, prima di espatriare, può rendere tale dichiarazione al Comune italiano di residenza utilizzando un apposito modello. Questi dati desunti dalle anagrafi comunali e dalle dichiarazioni rese confluiscono nell’anagrafe istituita presso il Ministero dell’Interno e tutti gli atti delle menzionate anagrafi costituiscono atti pubblici. In particolare, gli effetti della dichiarazione relativa al trasferimento della residenza da un comune italiano, rese all’ufficio consolare competente, decorrono dalla loro data di presentazione, qualora non sia stata già resa la dichiarazione di trasferimento di residenza all’estero presso il comune di ultima residenza. La disposizione prevede che le dichiarazioni presentate anteriormente alla data del 26 marzo 2019 e non ancora ricevute dall’ufficiale dell’anagrafe, abbiano la stessa decorrenza della data di presentazione. Si rappresenta, quindi, che la normativa risulterebbe, comunque, non applicabile laddove il contribuente alla data del 2019 risulta già iscritto all’AIRE. Nell’eventualità, invece, che il rientro in Italia dell’istante avvenga in data successiva, il requisito risulterebbe soddisfatto, permettendo la fruizione dell’agevolazione fiscale dal periodo d’imposta 2020. Le novità del decreto Crescita Il decreto Crescita (art. 5, comma 1, D.L. n. 34/2019), in vigore dal 1° maggio 2019, ha apportato modifiche e integrazioni all’art. 16, D.Lgs n. 147 del 2015. Le modifiche trovano applicazione “a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto” e, pertanto, per i soggetti che acquisiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato dal periodo d’imposta 2020. Tuttavia, la previsione del comma 5-ter inserito nell’art. 16, D.Lgs n. 147/2015 dispone che i cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi. Con riferimento ai periodi d’imposta per i quali siano stati notificati atti impositivi ancora impugnabili o oggetto di controversie pendenti in ogni stato e grado del giudizio nonché per i periodi d’imposta per i quali non sono decorsi i termini, ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi. La ratio della norma è volta a valorizzare, per i soggetti che non risultano iscritti all’AIRE, la possibilità di comprovare il periodo di residenza all’estero sulla base delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, e pertanto, la stessa può trovare applicazione anche per i contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia già nel 2019. Una diversa interpretazione, infatti, non risulterebbe in linea con l’intento del legislatore di privare di efficacia gli atti impositivi già notificati alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 34 del 2019 ed escludendo la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di notificarne di nuovi ai cittadini italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019.