In tema di regime speciale per i lavoratori impatriati, la normativa presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio. La residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisce il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo. E' uno dei chiarimenti forniti dall'Agenzia delle Entrate nella risposta n. 32/2019. IL QUESITO Il sig. ALFA, attualmente residente all’estero, riferisce di essersi laureato in Italia e di avere frequentato nel periodo 5 gennaio 2017-21 dicembre 2017 un corso universitario (Master MBA) presso l’istituto INSEAD di Fontainbleau in Francia avente valore di due anni accademici. Successivamente al conseguimento del titolo, l’istante ha mantenuto la propria residenza ed il proprio domicilio in Francia fino al giorno 14 aprile 2018, anno in cui si è trasferito nel Regno Unito, dove ha iniziato a lavorare dal 16 aprile a tempo pieno presso la Società BETA International con sede a Londra (dove attualmente lavora). L’istante precisa di essersi iscritto all’AIRE con decorrenza 16 giugno 2017 anche se di fatto aveva già trasferito la residenza ed il domicilio in Francia sin dall’inizio dell’anno. La residenza presso il registro AIRE è stata successivamente trasferita nel Regno Unito tramite istanza presentata al Consolato Italiano a Londra il 14 settembre 2018. Ciò premesso, l’istante rappresenta di avere maturato l’intenzione di rientrare in Italia nel 2019, e chiede chiarimenti in ordine all’applicabilità dei benefici fiscali previsti per lavoratori ‘impatriati’ ai sensi dell’articolo 16, comma 2 del D.Lgs. n. 147 del 2017. LA RISPOSTA DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE L’articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 disciplina il regime speciale per i lavoratori impatriati, al fine di incentivare il trasferimento in Italia di lavoratori con alte qualificazioni e specializzazioni. La disposizione prevede la concessione di incentivi fiscali, sotto forma di imponibilità del reddito prodotto in Italia nella misura del 50 per cento, in favore di soggetti che trasferiscano la residenza nel territorio dello Stato. L’agevolazione è applicabile a decorrere dal periodo di imposta in cui il soggetto trasferisce la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR e per i quattro periodi di imposta successivi, ove ricorrano i requisiti e le condizioni previsti, alternativamente, dal comma 1 o dal comma 2 dell’articolo 16 del D.Lgs. n. 147 del 2015. Il comma 2, richiamato nell’istanza, prevede in particolare che sono destinatari del beneficio fiscale i cittadini dell’Unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale che: 1. sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, o 2. hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione post laurem. Pertanto, i soggetti individuati dal comma 2, per fruire del beneficio, devono avere i seguenti requisiti: a) essere in possesso di un titolo di laurea; b) aver svolto continuativamente un’attività di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi o più; c) essere cittadini dell’unione europea o di uno Stato extraeuropeo con il quale risulti in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni ai fini delle imposte sui redditi ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale; d) svolgere un’attività di lavoro autonomo o dipendente in Italia. L’accesso al regime speciale presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio. Con risoluzione n. 51/E del 2018, è stato precisato che, sebbene l’articolo 16 non indica espressamente, per i soggetti di cui al comma 2, un periodo minimo di residenza estera, esso prevede tuttavia un periodo minimo di lavoro (o di studio) all’estero di due anni; ciò considerato, la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta si è ritenuto costituisse il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo. Considerato che per le persone fisiche il periodo d’imposta coincide con l’anno solare, sulla base di quanto precisato nella circolare n. 17/E del 2017 (parte I), l’iscrizione all’AIRE il 16 giugno 2017, e la permanenza dell’iscrizione per l’anno 2018, sono sufficienti ad integrare il requisito della ‘non residenza in Italia’ per due anni di imposta dell’istante, sempreché egli non abbia avuto in Italia il centro principale dei propri affari e interessi, e/o la dimora abituale. Relativamente al requisito di cui alla lettera b), afferente lo svolgimento di un’attività continuativa di lavoro o studio fuori dall’Italia negli ultimi ventiquattro mesi, l'Agenzia esclude che l’istante possa avvalersi dell’agevolazione in qualità di soggetto che ha lavorato all’estero laddove rientri nel 2019, dato che la permanenza per motivi di lavoro si protrarrebbe in tal caso per un periodo inferiore a 24 mesi. Diversamente, il requisito potrebbe dirsi integrato laddove il rientro avvenisse successivamente al 16 aprile 2020, e l’attività lavorativa fosse prestata all’estero sino a tale data. Per ciò che concerne l’attività di studio, la permanenza all’estero per tali motivi appare essersi protratta per un periodo inferiore a quello richiesto dalla norma; il soddisfacimento del requisito presuppone peraltro il conseguimento di un titolo di laurea o di specializzazione post lauream estero comparabile a quelli conseguibili nell’ordinamento italiano. Ciò posto, l'Agenzia non ritiene integrato il requisito di cui alla richiamata lettera b), la cui carenza preclude l’accesso al beneficio fiscale. IL QUESITO Il regime speciale per gli impatriati è applicabile a un lavoratore nato in Belgio, laureatosi in ingegneria civile a Pisa nel 2000, che è stato residente all’estero dal 15 maggio 2011 al 19 luglio 2018 (periodo durante il quale ha svolto ininterrottamente attività di lavoro dipendente presso una società) e che successivamente ha trasferito la residenza in Italia (20 luglio 2018) ed è stato assunto (con contratto a tempo determinato per cinque anni con la qualifica di dirigente) da una società italiana (1° settembre 2018), impegnandosi a restare in Italia per almeno due anni? L’interpello è stato presentato dalla società che ha assunto il lavoratore. LA RISPOSTA DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE In questo caso, sottolinea l’Agenzia con la risposta n. 34/2019, viene in rilievo la previsione del comma 1 dell’articolo 16, in base al quale al regime di favore possono accedere tutti i soggetti, cittadini e non dell’Unione europea, che trasferiscono in Italia la residenza fiscale a partire dal 2016, e che: non sono stati residenti in Italia nei cinque periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a restare in Italia per almeno due anni; l’attività lavorativa viene svolta presso un’impresa residente in Italia in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la stessa impresa ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa; l’attività lavorativa è prestata prevalentemente in Italia; lavoratori rivestono ruoli direttivi ovvero sono in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione. Coloro che sono in possesso di questi requisiti possono beneficiare del regime agevolato a patto che trasferiscano la residenza in Italia e si impegnino a restarvi per almeno due anni. In base alla normativa appena descritta e agli elementi indicati dall’interpellante nell’istanza, l’Agenzia conclude che il dipendente della società istante può accedere al regime degli impatriati con effetto a partire dal periodo d’imposta in cui ha trasferito la residenza fiscale in Italia, ossia dal 2019 e per i quattro successivi. IL QUESITO Si chiede se il regime degli impatriati è applicabile a un lavoratore che: è cittadino italiano, residente nel Regno Unito; il 31 agosto 2012 si è iscritto un corso di laurea specialistica, conseguita il 4 febbraio 2014; durante il corso di studi ha stipulato con una società inglese un contratto di stage (dal 5 agosto 2013 al 7 febbraio 2014); il 15 gennaio 2014 ha stipulato con la stessa società un contratto di lavoro a tempo indeterminato; iscritto all’Aire dal 14 ottobre 2015 (risolto il 3 ottobre 2017); il 16 ottobre 2017 ha sottoscritto un nuovo contratto a tempo indeterminato con un’altra società; nel 2019 rientrerà in Italia, trasferendovi la residenza e impegnandosi a mantenerla negli anni successivi. Il dubbio dell’istante riguarda la circostanza che, nel caso in esame, l’attività lavorativa svolta nel Regno Unito ha subito un’interruzione (dal 3 al 16 ottobre 2017) tra la risoluzione del primo contratto di lavoro dipendente e l’inizio del nuovo lavoro. Inoltre, l’istante è iscritto all’Aire solo dal 14 ottobre 2015. Pertanto, è necessario capire se i due requisiti della residenza all’estero e del lavoro continuativo fuori dall’Italia debbano coesistere per tutto l’arco temporale dei ventiquattro mesi. LA RISPOSTA DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE Nel caso concreto oggetto dell’istanza (risposta n. 36/2019) l’interpellante risulta iscritto all’Aire dal 14 ottobre 2015 e pertanto, in applicazione dei criteri previsti dall’articolo 2, Tuir, deve ritenersi fiscalmente non residente in Italia dal 2016. Ne consegue che la condizione di un periodo minimo di residenza fiscale all’estero (richiesta dal comma 2 dell’articolo 16) risulta soddisfatta con il periodo d’imposta 2017. Con riguardo al dubbio della mancata piena coincidenza temporale tra lo svolgimento dell’attività lavorativa all’estero per ventiquattro mesi (o più) e l’iscrizione all’Aire per il periodo minimo di due periodi d’imposta, l’Agenzia precisa che i due requisiti devono essere presenti in capo al soggetto nel momento in cui rientra in Italia per svolgervi attività lavorativa acquisendo la residenza fiscale nel nostro Paese, non rilevando la contemporaneità della loro maturazione. Rispetto alla durata dell’attività di studio svolta all’estero in modo continuativo negli ultimi ventiquattro mesi per il conseguimento di un titolo di laurea o di una specializzazione post lauream (articolo 16, comma 2, Dlgs 147/2015), l’Agenzia osserva che il requisito è soddisfatto a condizione che il soggetto consegua i titoli aventi la durata di almeno due anni accademici (cfr circolare n. 17/E del 23 maggio 2017). Nel caso in esame, il periodo di studio universitario svolto all’estero ha avuto la durata di un solo anno accademico. Tuttavia, occorre determinare il possesso del titolo di laurea non espressamente dichiarato dall’interpellante, che però potrebbe presumersi considerato che lo svolgimento di un corso di studi universitari di laurea specialistica presso un’istituzione universitaria del Regno Unito presupponga in capo all’interpellante il possesso di un titolo di laurea già conseguito in Italia. In definitiva: solo al verificarsi di tutti i detti presupposti richiesti dal comma 2 dell’articolo 16, l’interpellante, in quanto cittadino italiano, può essere ammessa a fruire del regime speciale dei lavoratori impatriati dal 2019, trasferendo da tale anno la residenza fiscale in Italia, e per i quattro periodi d’imposta successivi in cui l’attività lavorativa risulti svolta in via prevalente in Italia qualora, invece, l’istante non abbia acquisito un titolo di laurea nel territorio dello Stato prima di avere svolto attività lavorativa all’estero, per poter fruire del regime speciale per lavoratori impatriati al suo rientro in Italia, in alternativa, dovrà soddisfare contemporaneamente le condizioni previste dal comma 1, dell’articolo 16.