Il 1° gennaio del 2024 ha segnato un nuovo capitolo nell’evoluzione del regime impatriati in Italia. La volontà di contrastare la “fuga dei cervelli” rendendo il nostro paese maggiormente attrattivo ad occhi esterni combinata al necessario bilanciamento delle esigenze nazionali (tra le quali spiccano quelle politiche, economiche e demografiche) ha storicamente portato i Governi, via via susseguitisi, a interrogarsi sul regime fiscale migliore, innovando molteplici volte la portata di questo regime. Da ultimo il D.Lgs. n. 209/2023, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 dicembre 2023, ne ha introdotto una sostanziosa revisione che di seguito si analizza. Prima di addentrarci nelle novità, una precisazione è d’obbligo. La data di trasferimento della residenza in Italia assume oggi una particolare importanza in quanto ben potrebbero tuttora coesistere: beneficiari del regime impatriati ante decreto crescita (ovvero ante 30 aprile 2019), post decreto crescita (successivi al 30 aprile 2019) e sistema attualmente vigente. Approfondiamo di seguito i punti principali del vigente regime impatriati. I requisiti Le condizioni di accesso, che devono verificarsi in occasione del trasferimento della residenza fiscale in Italia, sono ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2023 principalmente le seguenti: - non essere stati residenti fiscalmente in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti al trasferimento in Italia; - impegnarsi a svolgere in Italia attività lavorativa per la maggior parte del periodo d’imposta; - essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione così come definiti dal D.Lgs. n. 108 del 28 giugno 2012 (con richiamo delle condizioni per la Carta Blu UE) e dal D.Lgs. n. 206 del 9 novembre 2007 (riferimento di armonizzazione delle professioni regolamentate in ambito UE). Inoltre, ai sensi della vigente disposizione è possibile godere di tale agevolazione anche se il lavoratore trasferito in Italia presta la propria attività lavorativa nei confronti dello stesso datore di lavoro (o dello stesso gruppo) presso il quale era impiegato all’estero, prevedendo in questo caso periodi di residenza estero ante trasferimento in Italia più lunghi; ovvero pari a: - sei periodi d’imposta se il lavoratore prima del trasferimento all’estero non è stato impiegato in Italia per lo stesso datore di lavoro (o dello stesso gruppo); - sette periodi d’imposta se il lavoratore prima del trasferimento all’estero è stato impiegato in Italia per lo stesso datore di lavoro (o stesso gruppo). Le tipologie di reddito che la norma considera sono esclusivamente il reddito di lavoro dipendente (o assimilato) e il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni. Novità è inoltre l’individuazione di una soglia di reddito agevolabile pari a 600.000 euro annui. La misura Al ricorrere delle suddette condizioni tali soggetti potranno godere della tassazione agevolata al 50%. È prevista una tassazione nella misura del 60%: - se il lavoratore si trasferisce in Italia con un figlio minore d’età; - nel caso di nascita di un figlio (o adozione di un minore d’età) durante il periodo di fruizione del regime con decorrenza dal periodo di nascita/adozione del figlio e per il tempo residuo dell’agevolazione, a condizione che, durante il periodo di fruizione del regime il figlio (minorenne), sia residente in Italia. Rispetto alla decorrenza, la norma prevede la possibilità di applicare la tassazione agevolata a decorrere dall’anno in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia e nei quatto periodi d’imposta successivi. L’ulteriore triennio La norma identifica la possibilità, limitatamente ai soggetti che trasferiscono in Italia la residenza anagrafica nell’anno 2024, di estendere il regime per ulteriori tre periodi d’imposta quando il soggetto sia divenuto proprietario di un immobile di tipo residenziale adibito ad abitazione principale in Italia: - entro il 31 dicembre 2023, - nei dodici mesi precedenti al trasferimento. In questo caso è prevista un’imponibilità del 50% del reddito da lavoro dipendente, assimilato e autonomo prodotto in Italia. Il penultimo comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 209/2023, si occupa dell’abrogazione, per la generalità dei soggetti, dell’art. 16 del D.Lgs. n. 147/2015 (principale riferimento normativo per quasi un decennio del regime impatriati), pur tuttavia facendo espressamente salvi coloro che hanno trasferito la residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 e gli sportivi che hanno stipulato il relativo contratto entro il 31 dicembre 2023. A queste due categorie di soggetti continua ad essere applicato il regime della sua versione previgente. Residenza anagrafica e fiscale a confronto Vi sono a questo proposito alcune considerazioni imprescindibili: cosa si intende per residenza anagrafica? Cosa distingue la residenza anagrafica da quella fiscale? Tipicamente, residenza e dimora per una persona fisica coincidono. Dal punto di vista normativo la residenza anagrafica è definita all’art. 43 comma 2 del Codice Civile come "luogo in cui la persona ha la sua dimora abituale". Il luogo di abituale dimora abituale è definito come il luogo ove abitualmente si esplica la vita familiare e sociale. In questo senso, la giurisprudenza ha distinto nell'ambito del concetto di residenza/dimora abituale un elemento oggettivo corrispondente alla stabile permanenza in un luogo e uno soggettivo costituito dalla volontà di rimanere in quel luogo. La volontà di rimanere in un determinato luogo deve essere concretamente riscontrabile ovvero comprovato da una situazione di fatto, alla quale deve tendenzialmente corrispondere una situazione reale e di diritto contenuta nelle risultanze anagrafiche. In coerenza con ciò si pone l’obbligo soggettivo di chiedere l’iscrizione anagrafica nel Comune di residenza/dimora abituale (art. 2 L. n. 1228/1954) e il conseguente accertamento dell’ufficiale di anagrafe connesso ad appurare la verità dei fatti e relative indagini volte ad accertare le contravvenzioni alle disposizioni di legge in materia anagrafica (art. 4, L. n. 1228/1954 e successive modifiche ed integrazioni). Tirando le somme in estrema sintesi, non si può parlare di residenza anagrafica senza considerare l’espletamento dell’iter di iscrizione all’anagrafe comunale competente. In che modo questa differisce dalla residenza fiscale? La residenza fiscale è un concetto legato alla definizione di soggetto passivo di imposta che è da ricercare nell’art. 2 del TUIR. Nello specifico si considerano fiscalmente residenti in Italia (art. 2 D.P.R. n. 917/86, come modificato proprio dal D.Lgs. n. 209/2023) i soggetti che per un periodo di almeno 183 giorni nell'anno solare, o 184 nell'anno bisestile, anche non continuativi, si trovano in una delle seguenti condizioni (tra loro alternative): hanno stabilito la propria residenza (come definita dal codice civile) in Italia; hanno il domicilio in Italia. A questo proposito la norma, a scanso di equivoci, associa domicilio al “luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”. Il domicilio emerge dunque esclusivamente come il luogo in cui sono localizzati gli affetti del contribuente. sono presenti in Italia. Altro elemento di innovazione di questa recente revisione e l’estensione dello status di residente a coloro che siano semplicemente presenti sul territorio italiano per la maggior parte del periodo d’imposta. sono iscritti ad un registro anagrafico. La disposizione richiama l’iscrizione anagrafica come presunzione relativa. Pertanto, fornendo prova di aver fissato la residenza e il domicilio all’estero e di non essere stato presente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta, un ipotetico soggetto potrebbe dimostrare la propria residenza fuori dai confini nazionali. Accertamenti della veridicità di ciò di ciò fanno capo all’Amministrazione Finanziaria, fatti salvi i casi di trasferimento in Stati a fiscalità privilegiata. In quest’ultima ipotesi l’onere della prova (ovvero attestare la propria volontà di non voler stabilire dimora in Italia, che il centro di relazioni e affetti non è localizzato in Italia, nonché non aver soggiornato in Italia per più di 183/184 giorni nel periodo d’imposta) si inverte ponendosi dunque in capo al contribuente. sono “cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente all’estero (AIRE) e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato…” Da ultimo, con riferimento all’iscrizione all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) - sempre gratuita nonché obbligatoria per alcune categorie di soggetti (in primis i cittadini italiani che intendono spostare la propria residenza all'estero per un periodo superiore ai dodici mesi) - la legge di Bilancio 2024 ha rivisto l’impianto sanzionatorio (che fino a tutto il dicembre 2023 era ancora indicato in lire). In particolare, con decorrenza dal primo gennaio 2024, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro per ciascun anno di mancata iscrizione, fino a un massimo di 5 anni. A tal proposito si precisa che le sanzioni amministrative non possono essere retroattive, pertanto, non si potrà essere sanzionati per il periodo precedente al gennaio 2024. Gli adempimenti relativi all’accertamento della violazione in materia di iscrizione anagrafica e all’irrogazione della sanzione restano di competenza esclusiva dei Comuni.