Quali soggetti, tra gli attuali forfettari, saranno costretti ad abbandonare il regime dal 2020? Tra le ipotesi da esaminare non c’è solo il superamento della soglia di ricavi/compensi o la presenza di rapporti partecipativi incompatibili. Ma anche la prevalenza nel 2019 di proventi incassati dai datori di lavoro (attuali o precedenti). È uno dei principali interrogativi che contribuenti e consulenti si pongono in questi ultimi mesi del 2019, cercando di capire chi “salverà” il regime, potendo considerare superato il periodo di sorveglianza. Il punto di partenza è l’articolo 1, comma 57, lettera d-bis, della legge 190/2014. Tale norma, frutto delle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2019 (articolo 1, comma 9) e, in piccola parte, dalla conversione in legge del Dl 135/2018 (articolo 1-bis, comma 3), prevede che non possono avvalersi del regime forfettario «le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro, ad esclusione dei soggetti che iniziano una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni». I riferimenti per affrontare correttamente il problema si trovano al paragrafo 2.3.2 della circolare 9/E/2019 e sono stati approfonditi dalle varie risposte a interpello rese successivamente dall’Agenzia affrontando casi concreti. Prima di scendere nei dettagli è opportuno ricordare lo scopo di questa causa di esclusione: evitare artificiose trasformazioni di attività di lavoro dipendente in autonomo. Il meccanismo in due step In primis, la verifica del requisito della prevalenza va effettuata solo al termine del periodo d’imposta. Ipotizzando un contribuente che abbia avuto un rapporto di lavoro concluso nel 2018, questi può applicare il regime forfetario nel 2019, ma se alla fine del periodo risulta che ha ottenuto proventi in prevalenza nei confronti del suo precedente datore di lavoro (o di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ad esso) dovrà fuoriuscire dal regime forfettario nel 2020 (risposta 134). Diversamente, se il rapporto di lavoro è cessato anteriormente al 1° gennaio 2017, non scatta alcuna causa ostativa e il soggetto può restare nel regime agevolato. La norma cita i «periodi d’imposta» e non «gli anni», per cui non sembra sia conferente il riferimento ai giorni del calendario civile. In secondo luogo, il requisito della prevalenza va inteso in senso assoluto. Quindi, per integrare la causa ostativa, occorre che siano in ogni caso superiori al 50% i ricavi conseguiti e i compensi percepiti nell’anno nei confronti dei datori di lavoro o dei soggetti a essi riconducibili (controllanti, controllati e collegati ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, considerando come persone interposte il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo). Perciò, un “ex datore” può anche essere il cliente principale, ma se percentualmente non “pesa” sul totale dei ricavi/compensi annui per più del 50% il problema non si pone. Rapporti «a rischio» Il passaggio più complesso è quello di comprendere quali sono i rapporti lavorativi “a rischio”. Secondo la circolare 9/E si tratta, in prima battuta, di quelli che producono redditi di lavoro dipendente o assimilato, compresi i pensionati, ad eccezione di quelli per cui il pensionamento sia obbligatorio ai termini di legge (risposta 161). Non rientrano nella causa ostativa, gli “ex tirocinanti” che si mettono in proprio (risposta 115) e i percettori dei redditi di cui all’articolo 50, comma 1, lettere c), d), f), g), h), h-bis), i) ed l), del Tuir, ferma restando la loro corretta qualificazione ai fini fiscali. Viceversa, vi rientrano i percettori di redditi di cui all’articolo 50, comma 1, lettere a), b) ed e), del Tuir, con particolare riferimento ai soci delle cooperative di lavoro e a chi svolge l’attività libero professionale intramuraria. Per “ammorbidire” la rigidità della norma, l’Agenzia (nella circolare 9/E e nelle risposte 116 e 170) ha affermato che (salvo abusi) se i due rapporti erano già in essere al 1° gennaio 2019 e persistono senza modifiche sostanziali non si creano difficoltà. Con riferimento alle collaborazioni, si “salvano” revisori e sindaci, e anche gli amministratori, ma solo se l’incarico è connesso all’attività professionale esercitata dal contribuente, così che i proventi rientrano nell’ambito del reddito di lavoro autonomo abituale (risposta 202). La lacuna: i contratti a tempo Non è stato esplicitamente trattato il caso della cessazione, alla scadenza del termine contrattualmente stabilito, del rapporto di lavoro a tempo determinato. In attesa di chiarimenti, si ritiene che tale situazione non debba qualificare la causa ostativa, non essendovi alcunchè di artificioso, trattandosi di una interruzione naturale (e prevista) del rapporto di lavoro.