In Italia, per conoscere se alcune norme fiscali contenute nella legge di Bilancio 2020 si applichino, o meno, a volte occorre attendere i primi chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria che, normalmente, arrivano a fine gennaio (ma, per risolvere alcune questioni del regime forfetario, lo scorso anno arrivarono addirittura ad aprile). Confermando questa bizzarra consuetudine, anche quest’anno migliaia di contribuenti e professionisti conosceranno le loro sorti fiscali (forse) solo tra qualche giorno. Dal 2020, infatti, dovrebbe essere preclusa l’applicazione del regime agevolato qualora, nel 2019, fossero stati percepiti redditi di lavoro dipendente o a questi assimilati, di cui agli articoli 49 e 50 TUIR, eccedenti l’importo di 30.000 euro (art. 1, comma 57, nuova lettera d-ter, legge n. 190/2014). In base alla letterale formulazione della norma, questa causa ostativa di nuova introduzione deve essere valutata sulla base dei redditi percepiti nell’anno precedente l’utilizzo del regime cosicché i limiti devono valutarsi con riferimento “all’anno precedente” e ciò significherebbe che la percezione nel 2019 di redditi di lavoro dipendente di ammontare superiore a 30.000 euro determinerebbe la fuoriuscita dal regime già dal 2020. Il dato normativo, quindi, non consente letture differenti rispetto a quella sopra esposta, ma da più parti si pretenderebbe che l’Agenzia delle Entrate, in ottemperanza allo Statuto del contribuente (che all’art. 3, comma 2, della legge n. 212/2000 recita che le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data dell’entrata in vigore della legge che li introduce) accordasse un posticipo al 2020 per la valutazione dei nuovi limiti (con conseguenti effetti sulla decadenza dal regime dal 2021), a causa della tardiva approvazione delle modifiche normative. Esattamente come lo scorso anno, quindi, il destino fiscale di molti contribuenti dipenderebbe da una circolare, vale a dire da una politica fiscale che, dapprima, va alla disperata ricerca di recupero di gettito erariale “cifrando” provvedimenti limitativi dell’accesso al regime agevolato nei preventivi del bilancio pubblico e che poi, per provare a recuperare qualche consenso, chiede il soccorso delle Entrate per risolvere i rebus innescati dalla ormai consueta manovra finanziaria approvata la sera prima di San Silvestro. Limite immediatamente operativo Stavolta, però, il diavolo fiscale potrebbe averci messo lo zampino, in quanto con la circolare n. 10/E/2016, l’Agenzia delle Entrate, nel chiarire le clausole di esclusione dal regime forfetario in vigore per l’anno d’imposta 2016, in quell’occasione disse esplicitamente che sarebbero restati fuori dal regime forfetario tutti i contribuenti con redditi di lavoro dipendente superiore a 30.000 e ritenendo, quindi, immediatamente operativo lo stesso limite ora reintrodotto. A questo punto, allora, solo un’eventuale (incoerente) interpretazione delle Entrate potrebbe aprire le porte del regime forfetario del 2020 a dipendenti e pensionati sopra-soglia nel 2019, atteso il fatto che il citato art. 3, comma 2 dello Statuto era già in vigore, ma che all’epoca nessuno si preoccupò della tutela dell’affidamento del contribuente, o di notare che la legge di Stabilità del 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208 in G.U. 30 dicembre 2015, n. 302), venne approvata, esattamente come quella del 2020, in prossimità di Capodanno. Sarebbe allora davvero imbarazzante se dovesse essere l’Amministrazione finanziaria a risolvere i problemi dell’Esecutivo, dando una soluzione di prassi con un’applicazione a intermittenza dello Statuto del Contribuente. Questioni di gettito Peraltro, i tecnici ministeriali (a cui il Governo ha già chiesto aiuto, come confermato dal sottosegretario al MEF Villarosa in risposta qualche giorno fa al question time in Commissione Finanze della Camera) sembrerebbero avere le mani legate non solo a causa del proprio citato precedente interpretativo, ma anche perché per il 2021 la legge di Bilancio ha previsto dal nuovo limite ostativo al regime dei 30.000 euro per il lavoro dipendente un recupero di gettito di oltre 540 milioni e, quindi, una lettura di prassi benevola del dettato normativo rischierebbe di generare un buco nel bilancio pubblico, oltre a rivelare un’ambigua posizione delle Entrate in disaccordo se stessa e con un (troppo recente) passato interpretativo diametralmente opposto. La questione è molto critica. Da un lato, infatti, c’è in gioco la credibilità della politica, dall’altro lato i diritti del contribuente e, in mezzo, il ruolo delle Entrate, sempre più spesso chiamata non solo ad applicare le leggi interpretandone esclusivamente il dettato, ma anche a sconfinare in ambiti impattanti sul bilancio dello Stato che tuttavia sembrerebbero più consoni a una copertura legislativa (annunciata come possibile da indiscrezioni politiche nel D.L. Milleproroghe) che a una circolare. In attesa dei chiarimenti ufficiali In attesa, quindi, di conoscere ufficialmente nei prossimi giorni se prevarranno i diritti del contribuente consacrati nello Statuto o le “superiori” esigenze del bilancio dello Stato (e, a quel punto, da quale parte penderà la bilancia interpretativa dell’Agenzia delle Entrate), al contribuente in condizioni di incertezza appare comunque prudente fornire il consiglio di certificare in questi giorni le proprie operazioni attive con modalità elettroniche e non cartacee, attesa la circostanza di non dover poi eventualmente subire anche le sanzioni per omessa fatturazione qualora dovesse essere confermata la decorrenza dal 2020 della causa di esclusione. Una prudenza, peraltro, impossibile da consigliare ai medici o a chiunque nell’ambito delle professioni sanitarie abbia ancora il divieto di emettere e-fatture. Insomma, la questione non è di poco conto.