Il decreto Fisco-Lavoro (art. 2, D.L. n. 146/2021), così come modificato in sede di approvazione del disegno di legge di conversione, prevede - con riferimento alle cartelle di pagamento notificate dall’agente della riscossione dal 1° settembre al 31 dicembre 2021 - che il termine per il versamento delle somme dovute è fissato, ai fini della maturazione degli interessi moratori e dell’esecuzione forzata, in 180 giorni. Così come chiaramente si evince dal dato letterale della norma, in virtù della stessa il contribuente vedrà aumentato il termine per effettuare il pagamento da 60 a 180 giorni. Altresì, in tale periodo, il Fisco non potrà procedere ad attività esecutiva e sarà sospesa anche la maturazione degli interessi di mora. Attenzione Per le cartelle di pagamento notificate dal 1° gennaio 2022 tornerà in vigore l’ordinario termine di 60 giorni per l’adempimento. Il contribuente, quindi, nell’arco dei 180 giorni, potrà pagare il debito in un’unica soluzione (tramite il bollettino RAV o attraverso il portale on-line PagoPA, ovvero ancora, tramite le piattaforme delle banche, Poste italiane e di tutti i PSP del circuito PagoPA) o chiedere la rateizzazione dello stesso (presentando apposita istanza ex art. 19, D.P.R. n. 602/1973). Sono estesi anche i termini per l’impugnazione? L’articolo in esame, in base a un’interpretazione letterale, non determinerebbe l’estensione da 60 a 180 giorni anche del termine per presentare ricorso in Commissione Tributaria avverso la cartella di pagamento. E tale interpretazione, in tutta onestà, sembra essere la più corretta, dato che il legislatore ha espressamente previsto che l’estensione del termine è riferibile solo al pagamento e ai fini della decorrenza degli interessi di mora e dell’inizio dell’esecuzione forzata. Volendo, per mero esercizio di stile, provare a sostenere la tesi dell’estensione anche del termine previsto dall’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 (termine di 60 giorni per proporre ricorso in Commissione Tributaria), si potrebbe considerare che il termine indicato dall’art. 2, D.L. n. 146/2021 deroghi a quello previsto dal predetto art. 21, in base al principio lex specialis derogat generali. Nel caso in esame, la “specialità” della nuova norma risiederebbe principalmente nella sua temporaneità e specificità dell’atto (in quanto, si ricorda, tale estensione è concessa solo per le cartelle di pagamento notificate dal 1° settembre al 31 dicembre 2021). Altra via percorribile, col medesimo risultato (unicità del termine di 180 giorni per il pagamento e per la presentazione del ricorso), è quella secondo cui il contenuto dell’art. 2 abbia abrogato tacitamente quanto previsto dall’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992 (sempre in relazione a cartelle notificate dal 1° settembre al 31 dicembre 2021). Si potrebbe rinvenire la ratio di tali tesi nel principio secondo il quale il termine per far valere le proprie ragioni (contestando il debito) debba necessariamente essere legato al termine per il pagamento delle somme dovute. In tale prospettiva lo sdoppiamento del termine (180 giorni per adempiere e 60 giorni per presentare ricorso) produrrebbe la violazione del diritto di difesa previsto dall’art. 24 Costituzione. Tali tesi però non appaiono ermeneuticamente sostenibili in quanto l’art. 2 non disciplina affatto il tema del termine per ricorrere in CTP, ma esclusivamente quello del pagamento delle somme dovute (manca il presupposto sia per l’applicazione del principio di specialità che per l’abrogazione tacita). Tale interpretazione è, inoltre, in assoluto accordo con quanto disciplinato dall’art. 12 delle preleggi al c.c.. Inoltre, considerare il termine di 180 giorni per il ricorso potrebbe essere “pericoloso”. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il contribuente impugni la cartella di pagamento oltre i 60 giorni, ma nei 180, e il ricorso venga dichiarato inammissibile perché il giudice (peraltro il vizio è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), basandosi sul dato letterale dell’art. 2 in questione, ritenga non applicabile l’estensione del termine anche all’impugnazione. Il giudice, anche dinanzi all’eventuale eccezione di incostituzionalità, sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., dell’art. 2, D.L. n. 146/2021 per non aver previsto l’estensione del termine a 180 giorni anche per l’impugnazione, potrebbe non ravvedere alcuna lesione del diritto di difesa. Lo sdoppiamento del termine è coerente anche con l’art. 25, comma 2, D.P.R. n. 602/1973, il quale prevede che le cartelle di pagamento debbano essere redatte in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle Finanze. Orbene, valutando l’attuale modello si può facilmente notare che i termini previsti per il pagamento e per il ricorso sono divisi e non confondibili, ragion per cui l’azione di estensione dell’uno non può in alcun modo ricadere sull’altro o porre dei dubbi a riguardo. La distinzione in cartella dei due termini (per il pagamento e per il ricorso) impedirebbe di giustificare l’impugnazione nei 180 giorni per essere stato il contribuente indotto a ritenere che potesse impugnare la cartella nel termine previsto per il pagamento. Quali termini considerare? In definitiva, si consiglia al contribuente di avvalersi dei 180 giorni solo nel caso intenda pagare, mentre di considerare il termine di 60 giorni per proporre ricorso. Peraltro, nel caso in cui il contribuente presenti ricorso (nei 60 giorni previsti) e nei successivi 120 (ovvero nel complessivo periodo di 180 giorni dalla notifica della cartella di pagamento) cambi idea e voglia pagare, potrà comunque farlo rinunciando al ricorso ex art. 44, D.Lgs. n. 546/1992.