L'Agenzia delle Entrate ha precisato che se le fatture di acquisto contengono l’indicazione del solo codice fiscale e non del numero di partita IVA del soggetto passivo IVA acquirente/cessionario, le operazioni devono ritenersi riferibili alla sfera privata/personale. Conseguentemente non sarà detraibile l’IVA, né deducibile il costo. Questa conclusione è estremamente rigorosa e non condivisibile pienamente. Il radicale cambiamento del modo di operare impone di procedere ad una nuova “lettura” delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 633/1972. Per la prima volta i contribuenti hanno iniziato ad utilizzare la propria identità digitale e la circostanza ha fatto sorgere ulteriori incertezze. I dubbi legati all’identità digitale In particolare, si è posto il problema, qualora lo studio del professionista sia ubicato in una sede diversa da quella del domicilio fiscale, quale sia l’indirizzo da indicare nel file XML relativo alle fatture elettroniche. In particolare, non è chiaro se debba essere indicato il domicilio fiscale o l’indirizzo della sede del professionista. I dubbi sono stati alimentati dall’entrata in vigore dell’obbligo di emissione della fattura in formato elettronico, ma in realtà il problema si è già posto anche in passato, quando la fattura doveva essere emessa in formato analogico. A seguito della generazione del QR code, cioè dell’identità digitale utilizzabile da ogni soggetto passivo al fine di semplificare l’emissione della fattura in formato digitale, si potrà verificare come tale identità rechi in calce l’indicazione del proprio domicilio fiscale. L’identità digitale non riporta il luogo di esercizio dell’attività. Ciò anche se tale dato è presente nell’anagrafe tributaria a seguito della dichiarazione di inizio attività ex art. 35 del D.P.R. n. 633/1972. Il QR code (identità digitale) riporta l’indirizzo e il Comune di residenza anagrafica che, ai fini fiscali, rappresentano il domicilio fiscale. Tale indicazione ha contribuito ad alimentare le incertezze dei contribuenti. Elementi minimi da indicare in fattura L’art. 21 del decreto IVA, nel prevedere l’obbligo di emissione della fattura per ciascuna operazione a carico degli esercenti arti e professioni, non fornisce una definizione di tale documento. La disposizione citata si limita ad individuare gli elementi “minimi” ed obbligatori che devono essere indicati nella fattura. Il comma 2, lettera c) prevede che la fattura debba contenere le seguenti indicazioni: “ditta, denominazione o ragione sociale, nome e cognome, residenza o domicilio del soggetto cedente o prestatore [...]”. La formulazione normativa è estremamente ampia potendo il contribuente indicare indifferentemente all’interno della fattura emessa in formato digitale, sia la residenza, ma anche il domicilio. Potrà quindi essere indicato sia il Comune e l’indirizzo di residenza anagrafica, ma anche, indifferentemente, il luogo di esercizio dell’attività. Le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate Nel corso di un incontro organizzato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili in tema di fatturazione elettronica, al quale ha partecipato anche l’Agenzia delle Entrate, è stato affrontato il problema in rassegna. In particolare, è stato chiesto se per le fatture di acquisto ricevute fosse obbligatoria anche l’indicazione della sede dell’attività del cessionario/committente o se fosse sufficiente l’indirizzo di residenza. In questo caso è stato chiesto se l’Agenzia delle Entrate potesse o meno contestare l’inerenza delle spese. L’Agenzia delle Entrate ha confermato la possibilità di indicare nelle fatture di acquisto, in luogo dell’indirizzo relativo alla sede dello studio, anche il Comune e l’indirizzo di residenza anagrafica. Ciò senza che la circostanza consenta all’Amministrazione finanziaria di contestare l’inerenza e quindi la deducibilità dei costi sostenuti. Il problema della deducibilità dei costi, e delle indicazioni da riportare all’interno della fattura, è stato affrontato dalla stessa Agenzia delle Entrate con un’altra risposta. Partita IVA o codice fiscale? In particolare, è stato precisato che i campi (della fattura elettronica) della sezione cessionario/committente devono essere compilati inserendo o la partita IVA oppure il codice fiscale che il cliente di volta in volta comunicherà al fornitore. Nel caso in cui il cessionario/committente comunichi il solo codice fiscale alfanumerico, pur essendo titolare di partita IVA, secondo l’Agenzia delle Entrate il destinatario della fattura sta effettuando l’acquisto del bene o del servizio non nell’ambito dell’attività professionale, bensì per finalità private. In tale ipotesi ne conseguirebbe l’indeducibilità del costo. Quest’ultima indicazione suscita numerose perplessità. La mancata indicazione del numero di partita IVA del cessionario/committente dà luogo, più probabilmente, ad un’inversione dell’onere della prova. Sarà sempre possibile, sulla base di diversi elementi, dimostrare che l’onere in questione sia stato sostenuto nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo e che la mancata indicazione del numero di partita IVA all’interno della fattura costituisce un’irregolarità di tipo formale. In tale ipotesi, stante l’effettivo impiego del bene o del servizio nell’attività esercitata, la spesa sarà deducibile secondo i criteri indicati dall’art. 54 TUIR. Allo stesso modo e coerentemente sarà detraibile anche l’IVA ferme restando le limitazioni previste dall’art. 19-bis1, D.P.R. n. 633/1972.