In presenza di procedure concorsuali, accordi di ristrutturazione, piani attestati o composizione negoziata della crisi, il contribuente che ha emesso fattura, senza ricevere il pagamento, in tutto o in parte, della fornitura o del servizio reso, ha la possibilità di recuperare l’IVA fatturata e versata all’Erario e non riscossa. Come è più conveniente procedere? Chi Soggetti passivi IVA che hanno effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi nei confronti di contribuenti assoggettati a procedure concorsuali o che hanno concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti o sottoscritto un piano attestato o conclusa una composizione negoziata, in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo fatturato. Cosa Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno o se ne riduce l'ammontare imponibile, in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente a causa di una procedura concorsuale o di un accordo di ristrutturazione dei debiti o di un piano attestato o per effetto di una composizione negoziata, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l'imposta corrispondente alla variazione. Ove il cedente o prestatore si avvalga della facoltà di operare la variazione in diminuzione, "il cessionario o committente che abbia già registrato l'operazione ai sensi dell'articolo 25, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell'articolo 23 o 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell'importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa” (art. 26, comma 5, D.P.R. n. 633/1972). Tuttavia, l’obbligo di registrare la nota di variazione emessa dal creditore “non si applica nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 3-bis, lettera a)” (art. 26, comma 5, ultimo periodo, D.P.R. n. 633/1972). Il curatore o commissario che riceve la nota di variazione, pertanto, non è tenuto ad annotare la corrispondente variazione in aumento nel registro delle vendite (art. 23) o in quello dei corrispettivi (art. 24). Ciò implica che, in tal caso, la procedura non è tenuta al versamento dell'imposta, che resta a carico dell'Erario (cfr. circolare 8 aprile 2016, n. 12/E, paragrafo 13.1; risposta a interpello 3 ottobre 2022, n. 485). Per quanto riguarda gli accordi di ristrutturazione dei debiti e i piani attestati, è stato chiarito che il cessionario/committente ha l’obbligo di registrazione della variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata, considerato che tali istituti non sono qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto, in quanto mancano sia del carattere della "concorsualità", sia di quello della “ufficialità”. Il cedente/prestatore, pertanto, può portare in detrazione l'IVA, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l'imposta all'Erario (principio di diritto 10 gennaio 2023, n. 1; circolare n. 12/E/2016, Risposta 13.2). L’art. 26 configura l'emissione di una nota per variare in diminuzione l'imponibile e/o l'imposta di un'operazione fatturata come una mera possibilità, rimessa al solo cedente/prestatore. Risulta dunque legislativamente preclusa, in capo al cessionario/committente, la possibilità di rettificare autonomamente la fattura emessa dal cedente/prestatore per documentare un'operazione, anche laddove la stessa risulti oggetto di insoluto (di una qualunque delle parti) (risposta a interpello 2 febbraio 2024, n. 29). Il comma 5-bis dell'art. 26 prevede che “nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis”, e quindi successivamente all'emissione della nota di variazione in diminuzione, “il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al comma 1”, ossia l'obbligo di emettere una nota di variazione in aumento. “In tal caso, il cessionario o committente che abbia assolto all'obbligo di cui al comma 5 ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione in aumento" (circolare 20 dicembre 2021, n. 20/E). Come In ordine alla corretta modalità di emissione delle note di variazione nei casi in esame, è stato chiarito che la variazione in diminuzione deve essere rappresentativa sia della riduzione dell'imponibile che della relativa imposta. “Una nota di variazione che tenga conto della sola imposta non riscossa andrebbe a scindere l'indissolubile collegamento esistente tra imposta ed operazione imponibile. La conseguenza paradossale di una tale ricostruzione sarebbe che, a fronte di un'operazione imponibile per la quale è stato interamente riscosso il corrispettivo, l'Erario non incasserebbe alcuna imposta sul valore aggiunto. In definitiva, va ribadito il principio secondo cui il mancato pagamento a causa di procedure concorsuali deve essere, comunque, riferito all'operazione originaria nel suo complesso e, pertanto, non è possibile emettere nota di variazione per il recupero della sola imposta” (risoluzione 3 aprile 2008, n. 127/E; risposta a interpello 3 ottobre 2022, n. 485). In pratica, cioè, ove la fattura originaria sia, ad esempio, pari a 1.000 più IVA (220) e il cedente, a seguito della procedura esecutiva, incassi 800, non può imputare l’importo non pagato interamente all’IVA, emettendo, nell’esempio, nota di variazione in diminuzione per 200 solo a titolo di IVA. La procedura di variazione in diminuzione, in presenza di procedure concorsuali, non richiede necessariamente la partecipazione del creditore alla procedura stessa (circolare 29 dicembre 2021, n. 20, par. 2.1.), “laddove il creditore dimostri che la sua ‘inerzia’ consegue alla preventiva valutazione di ‘antieconomicità’ della partecipazione al concorso, dovuta alla prevedibile incapienza del patrimonio del debitore” (risposta a interpello 7 aprile 2022, n. 181 e Corte di Giustizia UE 11 giugno 2020, causa C-146/19). Tali conclusioni, tuttavia, non possono valere qualora il credito non sia stato ammesso alla procedura concorsuale per avvenuta prescrizione che non costituisce mai titolo per il ricorso alla procedura di variazione in diminuzione (risposta a interpello 10 marzo 2022, n. 102). Laddove il cedente/prestatore, ritenendo di poter utilmente recuperare il proprio credito, scegliesse di insinuarsi al passivo, senza avvalersi della facoltà di emissione della nota di variazione all’inizio della procedura, il medesimo potrebbe comunque emettere nota di variazione qualora la procedura concorsuale si rivelasse infruttuosa, tenuto conto che l’art. 26, comma 2, prevede la possibilità di variare l’operazione in diminuzione anche in casi “simili” alle cause di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione”, circostanza che consente di valorizzare ragioni ulteriori per le quali un’operazione fatturata può venir meno in tutto o in parte o essere ridotta nel suo ammontare imponibile (risposta a interpello 3 ottobre 2022, n. 485). Quando Nel caso di mancato pagamento del corrispettivo connesso a procedure concorsuali, per l’emissione della nota di variazione in diminuzione non si deve più attendere la conclusione delle procedure stesse (risposta a interpello 23 giugno 2023, n. 359). La variazione in diminuzione può essere operata a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale (senza quindi attenderne l’esito), ossia la data (art. 26, comma 10-bis, D.P.R. n. 633/1972): - della sentenza dichiarativa del fallimento; - del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; - del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; - del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Per quanto riguarda le altre procedure, la nota di variazione può essere emessa dalla data: - del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 C.C.I.); - di pubblicazione nel registro delle imprese degli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento (art. 56 C.C.I.); - di pubblicazione nel registro delle imprese dei contratti e degli accordi conclusi nell’ambito della composizione negoziata - art. 23, comma 1, lettere a) e c) e comma 2, lettera b), C.C.I.; art. 38, comma 2, D.L. n. 13/2023). La nota di variazione deve essere emessa a partire dalla data sopra indicata, entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si verifica il presupposto che consente la variazione stessa. Emessa tempestivamente detta nota l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento. “Rileva, in altre parole, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione, che rappresenta il presupposto formale necessario per l’esercizio concreto del diritto. Volendo esemplificare, se il presupposto per operare la variazione in diminuzione si verifica nel periodo d’imposta 2021, la nota di variazione può essere emessa, al più tardi, entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2021, vale a dire entro il 30 aprile 2022. Se la nota è emessa nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2022, la detrazione può essere operata nell’ambito della liquidazione periodica IVA relativa al mese o trimestre in cui la nota viene emessa, ovvero direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno 2022 (da presentare entro il 30 aprile 2023)” (circolare 29 dicembre 2021, n. 20, par. 3). In altre parole, se il presupposto per l’emissione della nota di variazione si realizza nel 2024: a) se la nota di variazione in diminuzione viene emessa entro il 31 dicembre 2024, l’imposta detraibile, risultante dalla stessa nota di variazione, confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA relativa al 2024 (da presentare entro il 30 aprile 2025); b) se la nota di variazione in diminuzione viene emessa nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2025, la detrazione può essere operata nell’ambito della liquidazione periodica IVA relativa al mese o trimestre in cui la nota viene emessa, ovvero direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno 2025 (da presentare entro il 30 aprile 2026). Calcola il risparmio La facoltà prevista dall’art. 26, comma 3-bis, consente di poter recuperare l’IVA addebitata alla controparte e non riscossa per effetto di procedure relative alla crisi d’impresa, senza rimanere, quindi, inciso da un tributo di cui è stata esercitata la rivalsa. Si osserva, in ordine alla possibilità di chiedere, in alternativa, il rimborso dell’imposta, che secondo l’Agenzia delle Entrate, “il superamento del limite temporale previsto dal legislatore per l’esercizio del diritto alla detrazione - rinvenibile dal combinato disposto degli artt. 26, commi 2 e seguenti, e 19, comma 1, del decreto IVA - non implica, in via generale, che il recupero dell’imposta non detratta possa avvenire, alternativamente, presentando, in una fase successiva, la dichiarazione integrativa a favore […] contenente la riduzione non operata dell’imposta, o un’istanza di rimborso ai sensi dell’art. 30-ter del decreto IVA. Si ritiene, infatti, che il decorso del termine previsto in capo al creditore per poter operare la variazione in diminuzione non possa legittimare lo stesso, di per sé, ad adottare tali soluzioni, dalle quali, in assenza dei requisiti previsti dalle relative previsioni normative, deriverebbe una violazione dei termini decadenziali stabiliti dalla norma”. In particolare, per quanto attiene all’istituto del rimborso ex art. 30-ter, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, “trattandosi di una norma residuale ed eccezionale, questo trovi applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Deve ritenersi, quindi, che tale istituto non possa essere utilizzato per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione qualora tale termine sia decorso per “colpevole” inerzia del soggetto passivo. La possibilità di ricorrere al rimborso deve essere riconosciuta, invece, laddove, ad esempio, il contribuente, per motivi a lui non imputabili, non sia legittimato ad emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972” (circolare 29 dicembre 2021, n. 20, par. 6). Risparmio % Caso n. 1 Il 20 settembre 2023, a seguito della vendita di un bene, il cedente A ha emesso fattura per operazioni imponibili pari a 90.000 euro e imposta per 19.800 euro. Il 15 gennaio 2024 viene emessa sentenza dichiarativa di fallimento del cessionario B, che non ha ancora pagato il debito al cedente. Il cedente può emettere la nota di variazione in diminuzione (per imponibile e IVA) dal 15 gennaio 2024 al 30 aprile 2025. Ipotesi 1: il cedente emette la nota di variazione in diminuzione a maggio 2024. In questo caso, il cedente può portare in detrazione (quindi recuperare) l’IVA relativa all’operazione con la liquidazione periodica relativa al mese di maggio 2024 o, al più tardi, con la dichiarazione annuale relativa al 2024 (da presentare entro il 30 aprile 2025). In pratica, il cedente riduce l’imposta a debito di 19.800 euro. Ipotesi 2: il cedente emette la nota di variazione in diminuzione a febbraio 2025. In questo caso, il cedente può portare in detrazione (quindi recuperare) l’IVA relativa all’operazione con la liquidazione periodica relativa al mese di febbraio 2025 o, al più tardi, con la dichiarazione annuale relativa al 2025 (da presentare entro il 30 aprile 2026). In pratica, il cedente riduce l’imposta a debito di 19.800 euro. Caso n. 2 Il 20 settembre 2023, a seguito della vendita di un bene, il cedente A ha emesso fattura per operazioni imponibili pari a 90.000 euro e imposta per 19.800 euro. Il cessionario B paga parzialmente la fornitura, versando l’importo di 80.000 euro. Il 15 gennaio 2024 viene emessa sentenza dichiarativa di fallimento di B. Il cedente può emettere la nota di variazione in diminuzione, per la differenza non corrisposta, dal 15 gennaio 2024 al 30 aprile 2025. Poiché non è possibile imputare l’importo non pagato (29.800 euro) prima all’IVA e per la differenza all’imponibile, la nota di variazione in diminuzione dovrà recare: - Imponibile: - 24.426 - IVA: - 5.374 Totale nota: 29.800 (109.800 – 80.000) In pratica, il cedente riduce l’imposta a debito di 5.374 euro Caso n. 3 Il 20 settembre 2023, a seguito della vendita di un bene, il cedente A ha emesso fattura per operazioni imponibili pari a 90.000 euro e imposta per 19.800 euro. Il 15 gennaio 2024 viene emessa sentenza dichiarativa di fallimento del cessionario B, che non ha ancora pagato il debito al cedente. Il cedente non si insinua nel passivo ed emette nota di variazione in diminuzione (per imponibile e IVA) a novembre del 2025. La nota di variazione è fuori termine (che scadeva il 30 aprile 2025) e quindi il contribuente non può più recuperare l’imposta (l’Agenzia ritiene che non sia ammissibile nemmeno l’istanza di rimborso). In pratica, per il cedente l’imposta a debito di 19.800 euro diventa un costo (non deducibile ai fini delle imposte sui redditi). Caso n. 4 Il 20 settembre 2023, a seguito della vendita di un bene, il cedente A ha emesso fattura per operazioni imponibili pari a 90.000 euro e imposta per 19.800 euro. Il 15 gennaio 2024 viene emessa sentenza dichiarativa di fallimento del cessionario B, che non ha ancora pagato il debito al cedente. Il cedente si insinua nel passivo e non emette nota di variazione in diminuzione entro il 30 aprile 2025. La procedura concorsuale si conclude a novembre 2026. Il cedente A riceve l’importo di 10.000 euro. A può emettere nota di variazione in diminuzione (entro il 30 aprile 2027) con i seguenti importi: Imponibile: 81.803 euro IVA: 17.997 euro Totale nota: 99.800 (109.800 – 10.000) In pratica, il cedente riduce l’imposta a debito di 17.997 euro.