Nell’ambito dell’accertamento sulle imposte dirette, l’articolo 32 del Dpr 600/1973 individua una presunzione legale in forza della quale, i prelevamenti e i versamenti operati su conti correnti bancari devono essere imputati a ricavi, avverso ai quali il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, può fornire la dimostrazione contraria, anche attraverso presunzioni semplici da sottoporre alla verifica del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio, purché grave, preciso e concordante, ai movimenti bancari contestati. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso la sentenza n. 714 del 15 gennaio 2019. Il comma 1, n. 2 dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 stabilisce che i dati attinenti ai rapporti con gli intermediari finanziari «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito o che non hanno avuto rilevanza allo stesso fine». Tale disciplina, che afferisce ai versamenti non giustificati, riguarda tutti i contribuenti ma tuttavia esiste una specifica disposizione afferente i prelevamenti non motivati la quale prevedeva che «alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni». Tale prescrizione intendeva significare che se un imprenditore o un professionista effettua dei prelievi e non è in grado di indicare il beneficiario, si può ritenere che abbia acquistato “in nero” per rivendere nella medesima modalità. La norma, che poteva avere un senso esclusivamente per gli imprenditori e per le annualità in cui è germogliata, è stata in seguito trasformata in una sorta di “carta di debito presuntiva”. In merito ai prelievi afferenti gli imprenditori, sono stati fissati dalla legge 225/2016 dei limiti quantitativi e tale previsione risulta confermativa della tesi secondo la quale, le norme richiamate nell’ambito delle indagini finanziarie, altro non sono che disposizioni concernenti l’attività istruttoria. Occorre infatti rilevare che, se fossimo in presenza di una presunzione legale, la prova contraria dovrebbe afferire al fatto presunto mentre, relativamente ai prelievi, la circostanza che la norma chieda l’indicazione del beneficiario, non è in grado di trasformarla in una presunzione legale. Oltre a ciò va rilevato che la norma utilizza la locuzione per la quale le operazioni sono “poste a base” delle rettifiche, che rappresenta la volontà di evitare la trasformazione degli elementi raccolti durante l’attività istruttoria in prove automatiche di evasione. Va rammentato, infine, che le disposizioni sulle presunzioni di evasione possono essere contenute soltanto in norme concernenti l’attività di accertamento, mentre l’articolo 32 del Dpr 600/1973 si limita a regolamentare l’attività istruttoria che precede l’accertamento e di conseguenza, circoscrivendo l’analisi alle imprese e ai professionisti, le disposizioni interessate sono quelle contenute negli articoli 39 e 40 del Dpr 600/1973, nelle quali non si rinviene alcuna presunzione legale. Le nuove disposizioni sulla rilevanza quantitativa dei prelevamenti non giustificati in materia di indagini finanziarie, confermano pertanto che le disposizioni di cui al comma 1, n. 2 dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 rilevano sul piano istruttorio ma non su quello degli accertamenti.