A fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una controllata alla propria società madre, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego. La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la sussistenza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti. IL FATTO La Corte di Giustizia UE è stata interpellata in alcune cause che sono state riunite in quanto, le singole domande di pronuncia pregiudiziale vertono entrambe sull’interpretazione della direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi. Tali domande sono state proposte nell’ambito di controversie in merito all’obbligo, incombente alle società medesime, di applicare un’imposta, trattenuta alla fonte, sui dividendi corrisposti a società non-residenti, considerate dall’amministrazione finanziaria quali beneficiari effettivi dei dividendi stessi, con conseguente esclusione, nei loro confronti, del beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte previsto dalla direttiva 90/435. Al fine di poter beneficiare dei vantaggi fiscali previsti da tale direttiva, l’entità percettrice dei dividendi deve rispondere ai requisiti in essa indicati. Tuttavia, come precisato dal governo danese nelle proprie osservazioni, può accadere che gruppi di società non rispondenti a tali requisiti creino artificiosamente, tra la società distributrice dei dividendi e l’entità diretta a disporne effettivamente, una o più società, rispondenti ai requisiti formali dettati dalla direttiva de qua. È su costruzioni finanziarie di tal genere che vertono le questioni pregiudiziali poste dal giudice del rinvio attinenti all’abuso nonché alla nozione di «beneficiario effettivo». LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte di Giustizia Ue rileva che il principio generale del diritto dell’Unione secondo cui singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione, dev’essere interpretato nel senso che, a fronte di pratiche fraudolente o abusive, le autorità ed i giudici nazionali devono negare al contribuente il beneficio dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una controllata alla propria società madre, anche in assenza di disposizioni del diritto nazionale o convenzionali che ne prevedano il diniego. La prova di una pratica abusiva richiede: - da un lato, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima non è stato conseguito; - dall’altro, un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. La sussistenza di taluni indizi può dimostrare la sussistenza di un abuso, sempreché si tratti di indizi oggettivi e concordanti. Possono costituire indizi di tal genere, segnatamente, l’esistenza di società interposte prive di giustificazione economica nonché la natura puramente formale della struttura del gruppo societario, della costruzione finanziaria e dei finanziamenti. Al fine di negare ad una società il riconoscimento dello status di beneficiario effettivo di dividendi ovvero di accertare la sussistenza di un abuso, un’autorità nazionale non è tenuta ad individuare la o le entità che essa consideri beneficiari effettivi dei dividendi medesimi. Infine, in una situazione in cui il regime di esenzione dalla ritenuta alla fonte per i dividendi corrisposti da una società residente in uno Stato membro ad una società residente in un altro Stato membro, risulti inapplicabile a fronte dell’accertamento di una frode o di un abuso, non può essere invocata l’applicazione delle libertà sancite dal Trattato FUE al fine di mettere in discussione la normativa del primo Stato membro posta a disciplina della tassazione di detti dividendi.