Il tema di una maggiore flessibilità dei requisiti di uscita dal lavoro assume particolare rilevanza nel sistema previdenziale italiano, potendo facilitare il turnover tra generazioni, favorendo sia l’ingresso al lavoro dei più giovani sia la stabilizzazione dei già occupati. Lo sottolinea l’Ufficio parlamentare di bilancio nel recente Rapporto sulla politica di bilancio, in cui si mette in evidenza come, per limitare l’impatto sui conti pubblici e assicurare equità intergenerazionale, la flessibilità dovrebbe accompagnarsi all’adeguamento degli assegni. Per comprendere come si evolverà la normativa, anche per verificare se e come le misure in scadenza a fine dicembre verranno confermate o modificate (in particolare Ape sociale, Quota 103, Opzione donna), occorre attendere il periodo autunnale in cui dovrà essere varata la legge di Bilancio 2025 alla luce della nuova governance europea che definisce la cornice entro la quale si muoverà la programmazione di contabilità pubblica nei prossimi anni. Trend evolutivo e prospettive Come ricorda l’Ufficio parlamentare di bilancio, osservato dal punto di vista delle misure pensionistiche, il ventennio passato si divide quasi perfettamente in due decadi, la prima caratterizzata dall’inasprimento dei requisiti di pensionamento e la seconda dal loro rilassamento. L’inasprimento è avvenuto per finalità di consolidamento del bilancio, anche in vista dell’invecchiamento della popolazione, attraverso modifiche strutturali, tra le quali le principali sono state l’innalzamento dei requisiti di uscita sia per vecchiaia che per anzianità, il loro aggiornamento automatico ai miglioramenti della vita attesa a 65 anni e l’aumento della frequenza di aggiornamento dei coefficienti di trasformazione del montante nozionale in rendita (i cosiddetti coefficienti Dini). Il successivo rilassamento è avvenuto, invece, con misure temporanee, in attesa di una futura riorganizzazione sistemica complessiva orientata alla flessibilità, con requisiti di pensionamento puntuali di età o di anzianità sostituiti da intervalli di valori entro cui scegliere liberamente accettando adeguamenti degli assegni. In termini prospettici, va evidenziato, così come sottolineato dalla Ragioneria generale dello Stato in una recente audizione, come le regole che discendono dalla nuova governance europea prevedono un maggiore orientamento verso un orizzonte di medio termine della politica di bilancio (che vede un allungamento da 3 a 4/5 anni dell’orizzonte di programmazione nel quale gli obiettivi sono fissati per l’intero arco temporale del Piano strutturale che ciascun Paese è chiamato a predisporre), la maggiore attenzione alle riforme strutturali e agli investimenti (a cui si collega la possibilità di estendere il periodo di aggiustamento del Piano strutturale da 4 a 7 anni) e il passaggio da indicatori di bilancio incentrati esclusivamente sul saldo a una traiettoria di spesa netta definita in termini di tasso di variazione nominale. Maggiore attenzione andrà posta su cosa la spesa pubblica sia in grado di produrre e su quali siano i suoi effetti, affinché, nel limite del vincolo complessivo, sia possibile massimizzare il valore prodotto e i risultati ottenuti. È utile ancora riportare le raccomandazioni contenute nel Country Report del Consiglio europeo presentate il 19 giugno scorso, in cui si sottolinea come l'Italia è uno degli Stati membri dell'UE con la popolazione più anziana, il tasso di natalità più basso e un'età superiore alla media delle donne che partoriscono il primo figlio. Il saldo migratorio rimane positivo, ma non compensa più il basso tasso di natalità. Di conseguenza, la popolazione in età lavorativa continua a ridursi, limitando la crescita potenziale. Gli sviluppi demografici sfavorevoli sono destinati ad aumentare la spesa pensionistica in percentuale sul PIL fino al 2040, ulteriormente aggravata dai programmi di pensionamento anticipato introdotti negli ultimi anni. Nel lungo periodo, si prevede che la spesa pensionistica si ridurrà progressivamente, anche grazie alla riforma del 2011, a condizione che venga attuata integralmente, anche limitando i regimi di pensionamento anticipato, prosegue il documento. Canali di pensionamento Partendo dalla previdenza obbligatoria, va ricordata in primo luogo la pensione di vecchiaia, per cui si richiedono 67 anni di età e 20 anni di contributi. Con riferimento poi alla pensione anticipata, si prevede un requisito di anzianità di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne, ovvero 41 anni di contribuzione per i lavoratori precoci (uomini e donne), con l’applicazione di una finestra trimestrale. Con tutti i caveat del caso va ricordato come nel dibattito agostano tra i rumors di un possibile intervento nella legge di Bilancio 2025 si è letto della ipotesi di introdurre un allungamento della finestra a 6-7 mesi. Si prevede ancora il pensionamento anticipato flessibile con Quota 103, con un doppio requisito, quello anagrafico di 62 anni di età e quello contributivo di 41 anni di contributi. Tra le novità rispetto al 2023: la durata della finestra, che si attiva al momento del raggiungimento sia del requisito contributivo che anagrafico e dura 7 mesi per i lavoratori privati e 9 mesi per i lavoratori pubblici e il valore massimo della pensione, fino a 4 volte il trattamento minimo, ovvero intorno ai 2.450 euro. Il trattamento liquidato in base alla Quota 103, per il periodo anteriore rispetto alla decorrenza ipotetica della pensione di vecchiaia, non è cumulabile con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione parziale di quelli da lavoro autonomo occasionale, questi ultimi sono cumulabili nel limite di 5.000 euro lordi annui, limite che corrisponde, per i redditi da lavoro autonomo occasionale, a quello di esclusione dalla contribuzione pensionistica. Si prevede poi la facoltà, per il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che abbia raggiunto entro il 31 dicembre 2024 i requisiti per il trattamento pensionistico anticipato inerenti alla medesima quota, di richiedere al datore di lavoro la corresponsione in proprio favore dell'importo corrispondente alla quota a carico del medesimo dipendente di contribuzione alla gestione pensionistica, con conseguente esclusione del versamento della quota contributiva e del relativo accredito. Ulteriore canale di pensionamento anticipato è Opzione donna, cui possono accedere le lavoratrici che abbiano maturato entro il 31 dicembre 2023 un’anzianità contributiva pari almeno a 35 anni e abbiano, alla medesima data, un’età anagrafica di almeno 61 anni (ridotta di un anno per ogni figlio e nel limite massimo di 2 anni). Occorre poi rientrare in una specifica categoria, vale a dire: assistere da almeno 6 mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ovvero un parente o un affine di secondo grado convivente qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto 70 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti; avere una riduzione della capacità lavorativa uguale o superiore al 74%; essere una lavoratrice licenziata o dipendente da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale. In questo caso, la riduzione di 2 anni del requisito anagrafico di 61 anni (anche qui l’età anagrafica è stata elevata di un anno) trova applicazione a prescindere dal numero di figli. È prevista una finestra di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le lavoratrici autonome. Previdenza complementare e flessibilità in uscita Con riferimento ai fondi pensione, va ricordato come si preveda una specifica prestazione di flessibilità in uscita, la RITA, acronimo che sta per Rendita integrativa temporanea anticipata. Va ricordato come nelle valutazioni in corso in vista della legge di Bilancio 2025 vi sia quella di rafforzare le adesioni alla previdenza complementare con una nuova finestra generalizzata di silenzio assenso accompagnata da una campagna istituzionale di educazione previdenziale. Tra le ipotesi vi è anche quella di un versamento obbligatorio di una quota di TFR per incrementare la adeguatezza complessiva delle future pensioni dei giovani contributivi La finalità della RITA è quella di sostenere il reddito dei soggetti rimasti senza lavoro, nel periodo che manca al raggiungimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. La RITA, si concretizza in un riscatto frazionato e rateale del capitale accumulato fino al pensionamento di vecchiaia. Si può scegliere sia la RITA in forma parziale che in forma totale. Per quel che riguarda la periodicità del frazionamento della RITA, essa è rimessa a ciascuna forma pensionistica complementare anche in relazione alle diverse esigenze degli iscritti, ma in ogni modo l’erogazione della RITA deve avere una periodicità non superiore a 3 mesi. Va poi evidenziato come il montante residuo continua a essere mantenuto in gestione, così da poter beneficiare anche dei relativi rendimenti. La prestazione anticipata in forma di Rendita integrativa temporanea anticipata è accessibile a tutti i lavoratori (subordinati, autonomi e liberi professionisti). Sono inclusi anche i dipendenti pubblici iscritti alle rispettive forme di previdenza complementare disciplinate dai decreti legislativi nn. 252/2005 e 124/1993; restano esclusi gli iscritti ai fondi in regime di prestazione definita. Per potere chiedere la RITA, prima che maturi l’età anagrafica per la pensione di vecchiaia, è necessario avere cessato il proprio rapporto di lavoro, avere 20 anni di contributi accumulati presso il regime obbligatorio di appartenenza, avere almeno 5 anni di partecipazione alla previdenza complementare (ovvero 3 anni se sei un lavoratore in mobilità nei Paesi dell’Unione europea) e distare non più di 5 anni rispetto all’età per la pensione di vecchiaia o essere inoccupato da più di 24 mesi con un anticipo di 10 anni rispetto al requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia. Vanno poi considerati i chiarimenti interpretativi forniti dalla COVIP, secondo cui non essendoci nella normativa un divieto di cumulo o un’espressa incompatibilità con il godimento di trattamenti pensionistici diversi dalla pensione di vecchiaia, la RITA può essere erogata anche se il beneficiario percepisca, al momento dell’istanza o nel corso di erogazione della RITA, pensioni anticipate o di anzianità nei 5 anni che mancano all’età per la pensione di vecchiaia, con erogazione fino all’età utile per la pensione di vecchiaia oppure alla prestazione pensionistica classica in capitale/rendita. Dal punto di vista fiscale, la base imponibile della RITA, equiparata a una prestazione in capitale, è determinata secondo le disposizioni fiscali vigenti per i periodi di maturazione della prestazione ed è soggetta alla ritenuta a titolo di imposta del 15%-9% anche con riferimento ai montanti maturati in data antecedente al 1° gennaio 2007. La norma specifica, inoltre, la possibilità per il soggetto interessato di rinunciare all’applicazione dell’imposta sostitutiva, facendolo constare espressamente nella dichiarazione dei redditi; in tal caso, la rendita anticipata è assoggettata a tassazione ordinaria.