In caso di contestazione della mancata indicazione in dichiarazione dei costi sostenuti per compiere operazioni con imprese residenti o localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata, non è consentito al contribuente presentare una dichiarazione integrativa, dopo l’inizio della verifica fiscale. Il fine della predetta, infatti come chiarito dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 23702 del 28 ottobre 2020, sarebbe quello di eludere le sanzioni applicate dall’Ufficio e di ricostruire un diritto ex novo. IL FATTO L’Agenzia delle Entrate, all’esito di una verifica fiscale, notificava ad una società un avviso con il quale irrogava sanzioni, per irregolare compilazione delle dichiarazioni per i pp.ii. 2002 e 2003. In particolare, l’Ufficio aveva riscontrato che non erano stati indicati separatamente nel quadro RF i costi derivanti dalle operazioni di acquisto di beni provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata e, alla pari, aveva ritenuto inidonea la dichiarazione integrativa presentata successivamente. Il provvedimento veniva immediatamente impugnato innanzi alle Commissioni tributarie, che in entrambi i gradi di merito accoglievano la tesi del contribuente. I giudici della CTR, da ultimo, motivavano il rigetto dell’appello proposto dall’Amministrazione ritenendo da un lato inesistente la violazione rilevata dall’Ufficio e dall’altro, pienamente legittima la dichiarazione integrativa presentata per correggere il quadro RF. Infatti, non veniva contestata dall’Ufficio né la deducibilità né l’effettività delle operazioni compiute e nemmeno la presenza di qualche pregiudizio per l’Erario. Avverso detta sentenza proponeva ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate. I giudici di legittimità, richiamando un consolidato orientamento formatosi sul punto, hanno chiarito che l’omessa e separata indicazione nella dichiarazione delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni concluse con imprese residenti o, localizzate nei paesi inseriti nella cd black list, costituisce una violazione della corrispondente normativa. Inoltre, dopo la contestazione della violazione è, di fatto, preclusa ogni possibilità di regolarizzazione. La ragione, prosegue la Corte, risiede nel fatto che la predetta si risolverebbe in un ingiustificato strumento di elusione delle sanzioni applicate. È consentito, infatti, al contribuente presentare una dichiarazione integrativa solo per opporre l’esercizio di un diritto del quale ne è già titolare al momento della dichiarazione originaria. La suddetta ipotesi, naturalmente, non sussiste nei casi di realizzazione di un illecito tributario o di ricostruzione ex novo di un diritto. Nel caso in esame, la contribuente dopo l’inizio del controllo decideva di presentare una dichiarazione integrativa al fine di porre rimedio alla mancata indicazione separata, dei costi sostenuti per le operazioni concluse con paesi a fiscalità privilegiata. Ha, dunque, errato la CTR nel riconoscere che la dichiarazione integrativa della parte contribuente potesse essere validamente utilizzata al fine di elidere la sanzione irrogata dall’Ufficio. Da qui l’accoglimento del ricorso.