Il mancato adempimento fiscale configura un reato se il contribuente non fornisce adeguate motivazioni a suo favore che in concreto non gli hanno permesso di adempiere correttamente. Lo chiarisce la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41602 del 10 ottobre 2019. A fronte di un omesso versamento Iva – rilevano i Supremi giudici - il privato può passarla liscia solo a certe condizioni. Deve cioè invocare l'assoluta impossibilità di adempiere il debito erariale, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui stesso della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee, da valutarsi in concreto, occorrendo cioè la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie. Il contribuente, quindi, è tenuto a dimostrare di aver posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili. L'appello dell'imputato si è rilevato illegittimo anche sotto il profilo di presunte compensazioni che avrebbe effettuato con 25 modelli F24, utilizzando però un credito Ires rivelatosi inesistente, tanto che quest'ultimo è stato rivendicato in un contesto economico societario contraddistinto da gravissime perdite e da mancati versamenti erariali. Respinta sotto ogni profilo la richiesta del contribuente.