Cassa forense non può sanzionare gli iscritti per l’omessa comunicazione dei redditi, senza prima contestare l’addebito. E se lo fa la sanzione è estinta. Le deroghe concesse agli enti che gestiscono forme di previdenza obbligatorie delle deroghe in nome dell’equilibrio di bilancio, non consentono di superare la legge 689/1981 sulle sanzioni amministrative. La Cassazione (sentenza n. 17702 del 25 agosto 2020) respinge il ricorso della Cassa di previdenza e assistenza forense che, aggirando la norma statale, aveva applicato direttamente la sanzione. Un passo che la Cassa riteneva di poter fare in virtù dell’adozione da parte sua di un diverso regolamento in materia, adottato sulla scia del Dl 140/97. Una norma che, all’articolo 4, comma 6-bis concederebbe agli enti privatizzati il potere di adottare «deliberazioni in materia di regime sanzionatorio». Ma il margine riconosciuto non è così ampio come interpretato dalla ricorrente. La Suprema corte ammette che, in occasione della trasformazione in persone giuridiche private degli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza, c’è stata una sostanziale delegificazione della disciplina relativa sia ai rapporti contributivi, sia previdenziali, per le prestazioni in favore dei beneficiari. E il compito di disegnare norme ad hoc è stato affidato dalla legge all’autonomia degli enti con la possibilità di derogare anche a leggi precedenti, allo scopo di assicurare l’equilibrio del bilancio nei tempi dettati dal legislatore. Un margine di manovra che si è tradotto in atti tipizzati dalla Corte di legittimità, che vanno dalla variazione delle aliquote contributive alla determinazione del criterio pensionistico, nel rispetto del criterio del pro rata. Mentre è stato escluso, ad esempio, che le deroghe possano essere estese all’imposizione di una trattenuta. L’autonomia della Cassa in tema di sanzioni si ferma in caso di sanzioni alla loro commisurazione, senza la possibilità di superare le disposizioni imperative della legge. I regolamenti interni devono prevedere garanzie «in grado di escludere che la discrezionalità attribuita alla pubblica amministrazione e agli enti ad essa equiparati si trasformi in arbitrio». E certamente tra queste tutele rientrano quelle dettate dalla legge 689/1991 (articoli 13 e 14) in tema di accertamento e preventiva contestazione dell’addebito. I giudici di legittimità ricordano soprattutto il principio secondo il quale, l’estensione del sistema dell’esecuzione esattoriale, ad altre prestazioni imposte dalla legge «non implica di per sè che l’ente che se ne assume creditore possa far valere la sua pretesa sanzionatoria, manifestandola al debitore per la prima volta attraverso il ruolo e i conseguenti atti dell’esattore». È, al contrario sempre necessario, un preventivo accertamento delle somme pretese in base alla precedente dichiarazione dell’iscritto. Il professionista va informato sulla violazione e deve essere messo nella condizione di far valere eventuali errori commessi dalla cassa. In assenza di contestazione dell’addebito la sanzione è estinta. Per la complessità e la novità della questione affrontata la Cassazione compensa però le spese.