Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l'imposta corrispondente alla variazione, previa restituzione del tributo al cessionario o committente. Nel caso di soggetti a detrazione piena, l’operazione è perfettamente neutrale mentre invece risulta conveniente per gli operatori a detrazione limitata. Chi Soggetti passivi IVA che, avendo emesso fattura per una operazione imponibile, intendono avvalersi della facoltà di ridurre la base imponibile e l’imposta relative all’operazione, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente o applicati in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti. Cosa Dopo l’emissione della fattura possono sopravvenire modificazioni della base imponibile o dell’imposta, conseguenti a nuovi accordi delle parti, al realizzarsi di clausole già previste originariamente, a modifiche legislative, all’ordinaria patologia del contratto prevista dal diritto civile (risoluzione, annullamento, rescissione, etc.), alla rilevazione di errori commessi al momento della fatturazione. Poiché agli effetti dell’IVA vige il principio che l’emissione della fattura comporta l’obbligo di corrispondere la relativa imposta (articoli 6, comma 4, e 21, comma 7, D.P.R. n. 633/1972), in caso di variazioni dell’imponibile o dell’imposta il contribuente che intende procedere alla rettifica dell’operazione, sia in aumento sia in diminuzione, deve applicare le disposizioni previste dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972. Mentre le variazioni della base imponibile o dell’imposta in aumento sono obbligatorie - e la loro omissione comporta l’applicazione di sanzioni alla stregua della mancata fatturazione di operazioni imponibili - le variazioni in diminuzione costituiscono un “diritto” del soggetto, limitato ad alcune fattispecie espressamente previste, il quale, avendo già corrisposto il tributo in misura superiore rispetto a quella dovuta, ha la facoltà di recuperare la differenza mediante una variazione “in diminuzione” (risposta a interpello 11 settembre 2023, n. 427 e risposta a interpello 14 luglio 2020, n. 216). Qualora l’emittente della fattura si avvalga di tale diritto, il cessionario o committente ha l’obbligo di effettuare analoga variazione in aumento dell’imposta dovuta o, in alternativa, in diminuzione di quella detraibile (art. 26, comma 5). Le cause previste dalla norma che conferiscono al cedente o prestatore il diritto di recuperare la differenza d’imposta correlata alla variazione in diminuzione dell’imponibile riguardano, al di fuori delle fattispecie di procedure concorsuali o esecutive (art. 26, comma 3-bis), il venir meno, in tutto o in parte, dell’operazione, in dipendenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e “simili” o l'applicazione di abbuoni o sconti. Come emerge dalla locuzione “[...] e simili”, la norma consente un’accezione ampia delle ragioni per le quali un’operazione fatturata può venir meno in tutto o in parte o essere ridotta nel suo ammontare imponibile. Il sorgere del diritto del contribuente è legato al manifestarsi di uno degli eventi indicati dalla norma, senza che sia necessariamente richiesto il definitivo accertamento (negoziale o giudiziale) dell’intervenuta causa di risoluzione del contratto (Cass., 8 novembre 2022, n. 15696; principio di diritto 6 agosto 2021, n. 11). La facoltà prevista dalla norma in commento può essere esercitata, ad esempio, anche in presenza di una clausola risolutiva parziale apposta al contratto di compravendita avente natura potestativa (ossia dipendente dalla volontà di una delle parti), con cui si pattuisce la facoltà per l’acquirente di restituzione dei beni, in base alla quale il cessionario si riservi un potere sulla sorte (parziale) del contratto che viene a manifestarsi attraverso un comportamento concludente di quest’ultimo (restituzione di parte dei beni acquistati) (risoluzione 16 ottobre 1990, n. 666305; risoluzione 31 marzo 2009, n. 85/E). In caso di variazioni in diminuzione, il cessionario o committente ha diritto alla restituzione della differenza pagata al cedente o prestatore a titolo di rivalsa (ovviamente se, quando viene eseguita la variazione, il corrispettivo dell’operazione sia stato già pagato). Ad esempio Se la fattura è stata emessa per 100 più IVA di 22 e il cedente effettua una variazione di -20 per un’imposta di - 4,4, il cessionario ha l’obbligo di aumentare la propria IVA a debito (o ridurre la propria IVA detraibile) di 4,4 ma ha il diritto di vedersi restituita tale differenza (se ha già effettuato il pagamento). Come Mentre le variazioni in aumento sono effettuate mediante emissione di una nota del tutto assimilabile alla fattura (c.d. “nota di variazione in aumento” o “nota di addebito”), per le variazioni in diminuzione sono previste due possibilità contabili alternative, in quanto il contribuente può agire o sull’imposta a debito (registro delle vendite) o sull’imposta a credito (registro degli acquisti) (art. 26, comma 8). Ad esempio, le variazioni in diminuzione delle operazioni attive possono essere annotate mediante corrispondenti registrazioni con il segno “meno” nel registro delle vendite (diminuzione dell’IVA a debito) oppure con il segno “più” nel registro degli acquisti (aumento dell’IVA detraibile). Le annotazioni delle variazioni “devono farsi risultare da apposita documentazione”, ovverosia dall’emissione di documenti definiti “note di variazione” (circolare 21 novembre 1972, n. 27/522432; risposta a interpello 29 agosto 2022, n. 440; risoluzione 31 marzo 2009, n. 85/E; Cass., 25 novembre 1996, n. 10405). Coloro che sono obbligati all’emissione di fattura elettronica, devono emettere in forma elettronica anche le note di variazione, in aumento o in diminuzione (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 127/2015 e circolare 17 giugno 2019, n. 14/E, par. 1). La nota di variazione deve necessariamente correlarsi alla fattura originaria e, dunque, deve contenere: le generalità di entrambi i soggetti coinvolti nell’operazione, la qualità e la quantità del bene ceduto (e poi, eventualmente, reso) o del servizio prestato, l’ammontare dell’imponibile, dell’imposta e l’aliquota applicata (risoluzione 7 aprile 2005, n. 45/E). È necessario che sia assicurata l’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originaria, da un lato, e l’oggetto della registrazione della variazione, dall’altro, in modo che esista corrispondenza tra i due documenti contabili (risoluzione 17 febbraio 2009, n. 42/E; risposta a interpello 22 settembre 2020, n. 387; Cass. 6 luglio 2001, n. 9188). Quando Poiché le variazioni in aumento comportano un maggior debito verso l’Erario, la norma prevede l’obbligo di effettuarle anche se l’evento che le determina si verifica a distanza di tempo (art. 26, comma 1). Invece, per quanto concerne le variazioni in diminuzione, la norma in commento prevede dei limiti temporali nel caso in cui la variazione sia frutto di un accordo delle parti sopravvenuto, lasciando impregiudicata la possibilità di operare la variazione in diminuzione senza limiti quando la stessa dipende da pronuncia giudiziaria, da procedure concorsuali o da clausole contrattuali previste al momento della conclusione del negozio. In particolare, quando la causa della variazione dipende da motivi già previsti in sede contrattuale o dipendenti da eventi esterni (ad esempio, una modifica legislativa, una sentenza, etc.), la variazione può essere operata senza limiti temporali. Invece, quando la variazione dipende da accordi sopravvenuti tra le parti la stessa non può essere esercitata (dal cedente o prestatore) “dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile” (Cass., 9 dicembre 2021, n. 39182). Inoltre, entro il citato termine annuale, le suddette norme possono essere applicate “anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’art. 21, comma 7”, cioè all’emissione di fattura per operazioni inesistenti ovvero con indicazione dei corrispettivi o delle imposte relative “in misura superiore a quella reale” (ad esempio, in caso di emissione di fattura con applicazione di IVA, a fronte di operazioni esenti o non imponibili o con aliquote superiori a quella dovuta, cfr. risposta a interpello 30 marzo 2023, n. 269; risposta a interpello 16 dicembre 2022, n. 592). La possibilità di effettuare una variazione in diminuzione senza limiti temporali non sposta l’obbligo di emissione del relativo documento e di esercizio del conseguente diritto di detrazione entro i termini previsti dall’art. 19, comma 1, cioè, “al più tardi con la dichiarazione relativa all’ anno in cui il diritto alla detrazione è sorto”, vale a dire quando si è verificato l’evento che consente la variazione ed è stata emessa la nota di variazione. La nota di variazione deve essere emessa entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale IVA relativa all’anno in cui si verifica il presupposto che consente la variazione stessa. Emessa tempestivamente la nota, l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale IVA di riferimento. “Rileva, in altre parole, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione, che rappresenta il presupposto formale necessario per l’esercizio concreto del diritto. Volendo esemplificare, se il presupposto per operare la variazione in diminuzione si verifica nel periodo d’imposta 2021, la nota di variazione può essere emessa, al più tardi, entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2021, vale a dire entro il 30 aprile 2022. Se la nota è emessa nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2022, la detrazione può essere operata nell’ambito della liquidazione periodica IVA relativa al mese o trimestre in cui la nota viene emessa, ovvero direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno 2022 (da presentare entro il 30 aprile 2023)” (circolare 29 dicembre 2021, n. 20, par. 3). Calcola il risparmio Quando un’operazione imponibile avviene tra due soggetti passivi che non subiscono, con riferimento a quell’operazione, limiti del diritto di detrazione, la variazione, agli effetti dell’IVA, è perfettamente simmetrica, in quanto all’aumento dell’imposta a debito di un soggetto corrisponde un aumento, di eguale ammontare, dell’imposta a credito dell’altro soggetto. Poiché i contribuenti tra i quali avviene l’operazione procedono poi alle conseguenti regolazioni patrimoniali, deriva che la procedura di variazione è assolutamente neutra dal punto di vista sia economico sia finanziario. Invece, la rettifica in diminuzione delle operazioni effettuate nei confronti di consumatori finali o di soggetti che subiscono limitazioni al diritto di detrazione (ad es., coloro che effettuano operazioni esenti) comporta un recupero netto d’imposta per i cessionari o committenti. Risparmio % Caso n. 1 La società A effettua una cessione di beni alla società B: imponibile 100 euro e IVA 22 euro. A emette fattura nei confronti di B e registra un credito per IVA verso B di 22 euro e un debito verso l’Erario per IVA di 22 euro. B registra un debito per IVA verso A di 22 euro e un credito verso l’Erario per IVA di 22 euro (detrazione). Nel caso in cui l’ammontare dell’operazione viene meno per un importo pari a 30 ed il cedente decida di avvalersi della facoltà di effettuare la variazione, agli effetti dell’IVA si avrebbe la seguente situazione: A emette nota di variazione di imponibile pari a 30 euro e IVA 6,6 euro. A registra un credito verso l’Erario per IVA di 6,6 euro e un debito verso B per IVA di 6,6 euro. B registra un credito verso A per IVA di 6,6 euro e un debito verso l’Erario per IVA di 6,6 euro. Nel caso in cui B avesse pagato il corrispettivo della fornitura ad A, l’emissione della nota di variazione obbligherebbe A a restituire a B l’importo dell’IVA oggetto di variazione. La variazione, in questi casi, conserva la neutralità dell’operazione originaria. Pertanto, se A non si avvalesse della facoltà prevista dall’art. 26 non vi sarebbero differenze sotto il profilo economico e finanziario per nessuna delle parti. Caso n. 2 La società A effettua una cessione di beni alla società B: imponibile 100 euro e IVA 22 euro. La società B ha un pro-rata di detrazione pari al 20% (quindi, l’80% dell’IVA sugli acquisti è indetraibile). A emette fattura nei confronti di B e registra un credito per IVA verso B di 22 euro e un debito verso l’Erario per IVA di 22 euro. B registra un debito per IVA verso A di 22 euro e un credito verso l’Erario per IVA di 4,4 euro (20% di 22), oltre ad un costo per IVA indetraibile pari a 17,6 euro. Nel caso in cui l’ammontare dell’operazione viene meno per un importo pari a 30 ed il cedente decida di avvalersi della facoltà di effettuare la variazione, agli effetti dell’IVA si avrebbe la seguente situazione: A emette nota di variazione di imponibile pari a 30 euro e IVA 6,6 euro. A registra un credito verso l’Erario per IVA di 6,6 euro e un debito per IVA verso B di 6,6 euro. B registra un credito verso A per IVA di 6,6 euro e un debito verso l’Erario per IVA di 1,32 euro. La variazione, neutra per A, comporta per B un recupero di 5,28 euro (6.6 - 1,32), vale a dire l’80% dell’IVA che A è tenuto a restituire a B.