L'indennità percepita per la mancata conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha natura risarcitoria da perdita di chance ed è estranea al rapporto di lavoro posto in essere, cosicché essa non è assoggettabile a tassazione. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27011 del 23 ottobre 2019. L’articolo 6, comma 2 primo periodo, del Tuir stabilisce che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. L’agenzia delle Entrate, con la risoluzione 155/E/2002, ha precisato che è principio generale quello per cui laddove l’indennizzo vada a compensare in via integrativa o sostitutiva la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero il mancato guadagno, le somme corrisposte, in quanto sostitutive di reddito, vanno assoggettate a tassazione e così ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente. Viceversa, laddove il risarcimento erogato voglia indennizzare il soggetto delle perdite effettivamente subite (il danno emergente), ed abbia quindi la precipua funzione di reintegrazione patrimoniale, tale somma non sarà assoggettata a tassazione. Infatti, in quest’ultimo caso assume rilevanza assoluta il carattere risarcitorio del danno alla persona del soggetto leso e manca una qualsiasi funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi: pertanto gli indennizzi non concorreranno alla formazione del reddito delle persone fisiche per mancanza del presupposto impositivo. In base all’articolo 6, comma 2, pertanto, è prevista l’assoggettabilità a tassazione solo delle indennità dirette a sostituire un reddito non conseguito, quindi, dirette a risarcire il c.d. lucro cessante, e non assumono rilevanza reddituale le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio, il danno emergente (risoluzione 356/E/2007). Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette a imposizione soltanto se, e nei limiti in cui, risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui esse tendano a riparare un pregiudizio di natura diversa; non è tassabile, pertanto, il risarcimento ottenuto da un dipendente dalla perdita di chance, consistente nella privazione della possibilità di sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa a seguito dell’ingiusta esclusione da un concorso per la progressione in carriera: il titolo al risarcimento del danno, connesso alla perdita di chance, infatti, non ha natura reddituale, poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale; ne consegue che la chance è anch’essa una entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile, qualora si accerti, anche utilizzando elementi presuntivi, la ragionevole probabilità dell’esistenza di detta chance intesa come attitudine attuale (Cassazione 3632/2019). Per quanto concerne, infine, la questione oggetto della sentenza in commento, la Suprema Corte ha reiteratamente stabilito che l’indennità corrisposta al lavoratore che abbia più volte subìto un’illegittima apposizione di termini al suo rapporto di lavoro, con la stipula di reiterati contratti a termine nel pubblico impiego, si configura come risarcimento del danno da perdita di chance, in quanto il lavoratore è rimasto ingiustamente confinato in una situazione d’incertezza e di precarietà, e quindi tale risarcimento non è assoggettabile a Irpef (Cassazione 19715/2019; Sezioni Unite 5072/2016).