Il licenziamento di un dipendente pubblico per il solo fatto di avere messo «mi piace» su un post su Facebook è una violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Lo ha stabilito la Corte di Strasburgo, in una sentenza depositata il 15 giugno 2021, di condanna alla Turchia (ricorso n. 35786/19). Per la Corte, le autorità nazionali non possono disporre la cessazione dal rapporto di lavoro anche se il post contiene dure critiche nei confronti delle autorità e, nel valutare una sanzione al dipendente, devono considerare la differenza tra condivisione di un messaggio e semplice «mi piace» sul post, nonché la popolarità del profilo su Facebook. IL FATTO A rivolgersi alla Corte europea è stata una dipendente del ministero dell’istruzione, addetta alle pulizie. La donna aveva messo un «like» su alcuni post di altri utenti nei quali si usavano toni accessi contro le politiche repressive delle autorità pubbliche e si incoraggiava a protestare contro tali pratiche. Il comitato di disciplina aveva deciso il licenziamento. Malgrado i diversi ricorsi interni, la donna non era riuscita a far valere il diritto alla libertà di espressione. Di qui il ricorso a Strasburgo che le ha dato ragione. LA DECISIONE DELLA CEDU Prima di tutto, la Corte europea critica l’operato dei giudici nazionali che hanno giustificato il licenziamento ritenendo che con il suo «like» la donna avrebbe turbato la tranquillità sul posto di lavoro, senza valutare che l’argomento affrontato nel post era di interesse generale. L’articolo 10 della Convenzione, che garantisce il diritto alla libertà di espressione, lascia poco spazio a restrizioni nei discorsi politici e di interesse generale e la sua tutela va assicurata anche sui luoghi di lavoro, sia pubblici sia privati. I social media come Facebook, inoltre, sono uno «strumento senza precedenti per l’esercizio della libertà di espressione» e migliorano l’accesso del pubblico alle informazioni e al dibattito su questioni di interesse generale. Nessun dubbio che accanto a tanti vantaggi i social media hanno certi rischi, in particolare quando incitano alla violenza. Tuttavia, nel caso arrivato alla Corte, la ricorrente non aveva scritto il post, ma si era limitata a cliccare su «mi piace»; non aveva utilizzato la funzione di condivisione del messaggio; la pagina era seguita da pochi utenti e non aveva una grande diffusione sul web. Tutti fattori che il datore di lavoro e i giudici nazionali avrebbero dovuto considerare, oltre a svolgere un esame accurato del contenuto. Per il lavoro svolto, inoltre, la donna non poteva avere un'influenza su studenti, docenti e altro personale. Di conseguenza, i motivi alla base del licenziamento non erano «pertinenti e sufficienti» e la sanzione è stata del tutto sproporzionata.