Da una condotta illecita possono derivare due tipologie di sanzioni senza che per questo si possa invocare il ne bis in idem. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 25734 dell'11 giugno 2019 si è trovata a giudicare un'evasione Iva pari a 256mila euro. Quindi visto l'importo che sforava i 250mila euro (importo oltre il quale si è in presenza di un reato) doveva applicarsi oltre alla sanzione amministrativa anche quella penale. Secondo il ricorrente non era possibile applicare le sanzioni in quanto sarebbe scattato il ne bis in idem. Spiega la Corte che il soggetto che non ha provveduto al versamento quale rappresentante legale di una società era imputabile del reato ex articolo 10 ter del Dlgs 74/2000 e che, invece, l'azienda avrebbe risposto delle sanzioni amministrative. In merito alla particolare tenuità del fatto la sentenza impugnata di appello adeguatamente motivata, senza contraddizione e senza manifesta illogicità, ha rilevato come l'applicazione dell'articolo 131-bis cp deve essere valutata in rapporto alla condotta nel suo complesso, e non solo all'entità del tributo evaso, al di sopra della soglia di punibilità; nel caso di specie la Corte di appello rileva in concreto con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità che il "fatto resta significativo anche nei suoi effetti di danno all'erario, né la parte ha dedotto alcunchè in merito a condotte riparatorie". Anche sul fronte del dolo la sentenza impugnata risulta adeguata e non contraddittoria o manifestamente illogica, perché rileva che per l'integrazione della fattispecie di reato in contestazione risulta sufficiente il dolo generico ossia la coscienza e volontà di non versare all'Agenzia delle entrate l'Iva senza alcuna deduzione contraria dell'imputata come ad esempio crisi di impresa non imputabile al ricorrente.