C’era una volta un Fisco semplice che consentiva ai professionisti di poter studiare e di andare in vacanza dopo la fatidica data del 31 maggio, cioè dopo la principale scadenza costituita dalla dichiarazione dei redditi. Non era un Fisco immune da “pecche”, ma perlomeno presentava il vantaggio della semplicità. Da una parte, se il contribuente commetteva un errore nell’effettuare i pagamenti e versava una somma più elevata rispetto a quella dovuta, rischiava di attendere più di cinque anni per ottenere il rimborso. Tuttavia, il numero degli adempimenti era estremamente limitato e anche il rapporto con gli uffici finanziari era relativamente più agevole. Al fine di limitare il problema dei rimborsi è stata prevista, in passato, la possibilità di compensare i crediti fiscali con tributi diversi e contributi. Si tratta della compensazione orizzontale, che ha limitato la formazione di ingenti posizioni creditorie in capo ai contribuenti che, inevitabilmente, avrebbero dovuto fare fronte a rilevanti difficoltà per “recuperare” i crediti fiscali. Il legislatore, però, ha progressivamente limitato nel tempo la possibilità di compensare i crediti fiscali con i debiti fiscali/contributivi. Sono stati introdotti vincoli sempre più stringenti alle compensazioni, che hanno finito con il gravare, anche in termini economici, sui contribuenti. L’obbligo di apposizione del visto di conformità, prima ai fini IVA con riferimento al credito annuale, successivamente per l’utilizzo dei crediti infrannuali e poi ancora ai fini delle imposte sui redditi, rappresenta solo uno degli ultimi interventi del legislatore in materia. In arrivo il pacchetto anti-evasione Ora, il Consiglio dei Ministri si appresta ad approvare un corposo pacchetto di norme antievasione e tra queste è previsto un vero e proprio “giro di vite” sulle indebite compensazioni. Il Fisco vuole verificare in anticipo la “bontà” dei crediti utilizzabili dal contribuente e quindi intende uniformare la disciplina della compensazioni dei crediti relativi alle imposte sui redditi con le disposizioni in vigore in materia di IVA. La misura allo studio: le criticità Il Governo sta studiando la possibilità di limitare temporalmente la compensazione dei crediti relativi alle imposte sui redditi e IRAP. Attualmente tali crediti possono essere utilizzati in compensazione con decorrenza dall’anno successivo a quello di riferimento. Ad esempio, almeno fin quando non sarà approvata una misura contraria, i crediti IRPEF, IRES e IRAP relativi al periodo d’imposta 2019 potranno essere utilizzati in compensazione già dal 1° gennaio 2020. Se l’importo utilizzato supera la soglia di 5.000 euro, la dichiarazione dei redditi successivamente presentata dovrà recare l’apposizione del visto di conformità. Si sta pensando, però, di confermare la possibilità di utilizzo dei predetti crediti, ma solo dopo aver effettuato l’invio telematico della dichiarazione. Secondo le ultime modifiche contenute nel decreto Crescita (D.L. n. 34/2019), la dichiarazione dei redditi deve essere presentata entro il 30 novembre dell’anno successivo a quello di riferimento. Conseguentemente, se pure si volesse ipotizzare che il contribuente sia in grado di presentare il modello dichiarativo con largo anticipo nel mese di luglio, sarà necessario attendere ben sette mesi dall’inizio dell’anno per “spendere” i predetti crediti. La circostanza darà luogo ad un aggravio di costi per i contribuenti e a notevoli vantaggi per l’erario. In particolare, i contribuenti saranno di fatto obbligati a effettuare i versamenti relativi agli altri tributi aventi scadenza nei primi sei mesi dell’anno, cioè prima della presentazione del modello dichiarativo, e quindi prima che sussista la possibilità di compensare i debiti verso il Fisco. L’Erario potrà così vedere affluire nelle proprie casse una mole di denaro che, diversamente, nelle ipotesi in cui fossero state consentire le compensazioni, non avrebbe ricevuto. Si tratta, in buona sostanza, di una vera e propria “stretta” a carico dei contribuenti che rischiano di subire ancora una volta una rilevante contrazione della liquidità. Non si tratta, tecnicamente, di un incremento della pressione fiscale ma, se la misura dovesse essere approvata, ne conseguiranno certamente maggiori costi a carico dei contribuenti. La misura rischia così di aggravare ancor di più la crisi che ha investito il Paese negli ultimi anni. Dopo lo split payment e il reverse charge, che hanno contribuito a contrarre la liquidità, ora è in arrivo anche questa ulteriore limitazione che concorrerà, unitamente ad altre misure, a rendere sempre più difficoltoso l’esercizio di una “libera attività”.