In tutti i casi di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a seguito della scelta del datore di lavoro (licenziamento) o del lavoratore (dimissioni), strettamente connesso alla disciplina generale sull’interruzione del rapporto di lavoro è il tema del preavviso, per il quale trova specifica applicazione la legge e la contrattazione collettiva. Preavviso che può essere lavorato o retribuito sotto forma di indennità sostitutiva, ovvero trattenuto in caso di mancato rispetto da parte del lavoratore in caso di dimissioni. Ma come deve comportarsi il datore di lavoro nella gestione del preavviso? E qualora sia il lavoratore che si dimette e chiede di essere esonerato dal preavviso lavorato spetta l’indennità sostitutiva a carico del datore di lavoro? Istituto del preavviso tra legge e contrattazione collettiva L’art. 2118 del Codice civile (Recesso dal contratto a tempo indeterminato) prevede che nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ciascun contraente (datore di lavoro e lavoratore) può recedere dal rapporto nei termini e modi previsti dalla legge e dal contratto collettivo, stabilendo inoltre che, in caso di mancato rispetto, la parte che recede è tenuta a riconoscere all’altra un’indennità - penale - equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso non lavorato. La disciplina codicistica stabilisce, pertanto, la regola generale che in tutti i casi di risoluzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato (licenziamento o dimissioni del lavoratore) trova applicazione l’istituto del preavviso. Costituiscono una eccezione alla regola generale, “sfuggendo”, pertanto, alla disciplina del preavviso, le seguenti ipotesi di cessazione del rapporto: 1) recesso per giusta causa ex art. 2119, c.c. (cioè per evento o comportamento che non consente la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto e che, pertanto, non ammette preavviso); 2) la risoluzione consensuale; 3) la risoluzione nel corso o al termine del periodo di prova; 4) la morte del datore di lavoro professionista o ditta individuale (in questo caso non interviene un licenziamento ma una sopravvenuta impossibilità alla prestazione lavorativa). Preavviso ed effetti sulla cessazione del rapporto di lavoro La risoluzione del rapporto di lavoro ad iniziativa di una delle parti contraenti si configura come un negozio giuridico unilaterale e ricettizio. Sia le dimissioni del lavoratore che il licenziamento, infatti, costituiscono un atto unilaterale ricettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza della controparte (art. 1334, c.c.), indipendentemente dalla volontà di quest’ultima e senza che la contraria volontà possa alterarne gli effetti. Il recesso e il preavviso sono da considerare due distinti e indipendenti istituti, coordinati dall’art. 2118, c.c. Il recesso, infatti, pone fine al rapporto di lavoro, mentre il preavviso (o l’indennità sostitutiva) ne attenua le conseguenze. Durata del preavviso La durata del preavviso ad oggi viene derogata dalla legge alla contrattazione collettiva. Contrattazione collettiva che in genere diversifica la durata del preavviso sulla base del criterio del livello di inquadramento e dell’anzianità di servizio del lavoratore, secondo la logica che più alto è il livello di inquadramento e l’anzianità di servizio, più elevata la sarà la durata del preavviso. In alcuni casi, la contrattazione collettiva prevede termini di durata diversificati a seconda che siamo in presenza di licenziamento o di dimissioni, così come vengono previste durate in mesi di calendario o di effettivo lavoro. Una particolarità si applica al contratto di apprendistato: secondo la disciplina del D.Lgs. n. 81/2015, il rapporto di apprendistato è un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato, e per la regolamentazione del preavviso trova applicazione quanto previsto a livello generale con riferimento alla qualifica/categoria legale assegnata. Gestione del preavviso nelle diverse ipotesi Per quanto riguarda il preavviso lavorato, il periodo viene considerato a tutti gli effetti prestazione lavorativa da parte del lavoratore, con la conseguenza che lo stesso ha diritto a percepire l’ordinaria retribuzione spettante per legge, contratto collettivo e contratto individuale. In tale periodo, il lavoratore avrà diritto a maturare gli ordinari ratei di mensilità aggiuntiva (13° ed eventuale 14° mensilità, qualora prevista), così come avrà diritto a maturare i ratei di ferie, permessi, par/rol ed ex festività, qualora previsti dal CCNL applicato. Trattandosi, inoltre, di un periodo lavorato, sulle somme retributive erogate durante il preavviso il lavoratore avrà diritto a maturare anche il TFR. Per quanto riguarda il trattamento fiscale e previdenziale, la retribuzione erogata sarà da assoggettare per il lavoratore a ordinaria imposizione fiscale IRPEF e sulla stessa sarà dovuta l’ordinaria contribuzione INPS (lavoratore e datore di lavoro) e il premio INAIL (datore di lavoro). Il mancato rispetto del preavviso previsto da una delle due parti comporta l'obbligo di versare alla controparte una indennità sostitutiva corrispondente alla retribuzione dovuta/spettante per il periodo di preavviso (indennità sostitutiva del preavviso). L’indennità sostitutiva del preavviso ha natura risarcitoria e non retributiva, che ha regole di gestione a seconda che la stessa sia dovuta dal datore di lavoro al lavoratore o viceversa. Situazione Gestione Indennità sostitutiva pagata dal datore di lavoro - l’ammontare dell’indennità sostitutiva è prevista dall’art. 2121, c.c. - l’indennità sostitutiva costituisce base imponibile ai fini contributivi e fiscali (assoggettamento a tassazione separata) Trattenuta al lavoratore per mancato rispetto del preavviso - assume carattere risarcitorio; - non incide sull’imponibile previdenziale e fiscale; - è trattenuta dal datore di lavoro dalle competenze di fine rapporto. Sul tema delle eventuali dimissioni del lavoratore con rinuncia della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro, si segnala che la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6782 del 14 marzo 2024 ha stabilito il principio secondo il quale nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’eventuale rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest'ultimo al conseguimento dell'indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso. La sentenza fa seguito alla posizione di una lavoratrice, che dopo aver rassegnato le proprie dimissioni, era ricorsa in giudizio per vedersi riconoscere l’indennità sostitutiva del preavviso da parte del datore di lavoro che la aveva esonerata dal preavviso lavorato. La Corte di appello accoglieva la domanda sulla base del fatto che il datore di lavoro, pur avendo esonerato la lavoratrice dalla prestazione lavorativa per la durata del preavviso, era comunque tenuto a riconoscere l’indennità sostitutiva pari all'importo della retribuzione che sarebbe spettata alla stessa per il periodo di preavviso. Secondo la Cassazione, invece: - l'istituto del preavviso adempie alla funzione economica di attenuare, per la parte che subisce il recesso, le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del contratto; - il preavviso ha efficacia obbligatoria e, quindi, qualora una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva; - la parte non recedente può liberamente rinunziare al preavviso senza riconoscere alcunché alla controparte, la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino a termine del preavviso.