Nel rito del lavoro, le circostanze di fatto alla base dell'azione devono essere dedotte tempestivamente e tale regola porta con sé una serie di conseguenze rilevanti, tra le quali spicca quella messa in luce dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 9675 del 5 aprile 2019. Ci si riferisce al caso in cui il lavoratore, dopo aver impugnato il licenziamento subito, nel corso del giudizio di primo grado o, peggio ancora, in sede di impugnazione, prospetti un profilo di illegittimità del recesso non tempestivamente dedotto. Per i giudici, viste le regole del rito del lavoro, in una simile ipotesi ci si troverebbe di fronte a un'inammissibile domanda nuova. Tale interpretazione è stata data dalla Corte facendo tesoro di un'ampia serie di precedenti pronunce, tutte più o meno recenti, che si sono orientate in tal senso e alle quali i giudici, nella sentenza in esame, fanno espresso riferimento. Ad esempio, nel corso degli anni la Cassazione ha reputato nuove la domanda con la quale il lavoratore, dopo aver prospettato in giudizio un motivo ritorsivo o discriminatorio alla base del licenziamento, tenti invece di far valere l'assenza di giusta causa o di giustificato motivo o quella con la quale egli abbia prospettato in corso di causa dei vizi formali del procedimento disciplinare differenti rispetto a quelli fatti valere con l'atto introduttivo. La Cassazione ha poi fatto un'ulteriore precisazione: tale limite non può essere superato neanche nel caso in cui il vizio denunciato tardivamente dal lavoratore avrebbe potuto determinare la dichiarazione di nullità del licenziamento. In simili ipotesi, più in particolare, non si può sperare in un intervento d'ufficio del giudice. La non rilevabilità d'ufficio di un motivo di nullità del licenziamento non denunciato tempestivamente in giudizio, infatti, trova un ostacolo nella necessità di coordinare l'articolo 1421 del codice civile con il principio della domanda, con il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e con il principio di disponibilità delle prove. Quanto disposto dal predetto articolo inoltre, per giurisprudenza ormai consolidata, non trova applicazione se la parte chiede la declaratoria di invalidità di un atto a sé pregiudizievole, in quanto la pronuncia giudiziale deve comunque restare circoscritta alle ragioni di illegittimità che la stessa parte abbia ritualmente dedotto. A fronte di ciò, non può quindi essere considerato come automaticamente applicabile alla materia dei licenziamenti il principio in forza del quale, con riferimento alle nullità negoziali, il potere del giudice di rilevarle d'ufficio andrebbe sempre esercitato, in tutte le azioni contrattuali e anche se viene in rilievo una nullità speciale o di protezione o se emerge una ragione di nullità differente da quella che la parte abbia espressamente dedotto.