Licenziamenti, con il Jobs act non aumentano i rischi per i lavoratori
L’esito dello studio “I contratti a tempo indeterminato prima e dopo il Jobs act”, elaborato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro su microdati CICO (Campione Integrato Comunicazioni Obbligatorie)
L’equazione tutele crescenti – licenziamento agevole appare infondata. È quanto emerge dallo studio “I contratti a tempo indeterminato prima e dopo il Jobs act”, elaborato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro utilizzando i microdati CICO (Campione Integrato Comunicazioni Obbligatorie).
Secondo i dati raccolti, dunque, il contratto “a tutele crescenti” non presenta maggiore rischio di licenziamento rispetto a quello soggetto al regime dell’art. 18, tant’è che, a 39 mesi dall’assunzione, risulta licenziato il 21,3% dei dipendenti assunti nel 2015 con il nuovo regime a fronte del 22,6% dei neoassunti con contratto tradizionale nel 2014. Il contratto a tutele crescenti, inoltre, “sopravvive” di più rispetto a quello tradizionale: sempre a 39 mesi dall’assunzione, il 39,3% dei contratti stipulati nel 2015 continuano ad essere attivi contro il 33,4% di quelli sottoscritti in regime di articolo 18.
Se si guarda, poi, alle motivazioni dei licenziamenti, quelli per motivo economico restano la principale causa di recesso (a 39 mesi dall’assunzione risulta licenziato per tale motivo il 18,5% dei neoassunti con contratto a tutele crescenti contro il 20,6% degli assunti con contratto a tempo indeterminato tradizionale) mentre il licenziamento disciplinare continua a interessare una quota marginale di neoassunti con le tutele crescenti (2,8% contro 2,1%).
L’analisi è stata condotta confrontando gli esiti occupazionali dei contratti a tempo indeterminato stipulati a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del regime a tutele crescenti, con gli avviamenti effettuati tra il 2011 e il 2014 e, dunque, soggetti all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, per un periodo pari a 39 mesi dall’attivazione ed escludendo i contratti a tutele crescenti che hanno beneficiato dell’esonero contributivo triennale previsto dalla L. n. 190/2014 che, come è noto, ha avuto un impatto estremamente significativo sulle nuove assunzioni. La tenuta di questa tipologia di contratti, infatti, è maggiore rispetto a quella dei contratti a tutele crescenti che non godono dell’agevolazione.
Considerando anche l’intervento della Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 194/2018 ha abrogato il rigido meccanismo di calcolo delle indennità.