Legittimo l'accertamento analitico-induttivo fondato sulla quota di partecipazione di una professionista in uno studio associato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 7109 del 13 marzo 2019. IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la CTR della Lombardia ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di una contribuente avverso la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso avviso di accertamento per IRAP ed IRPEF per l'anno 2002, che, sulla base dell'accertamento con metodo analitico-induttivo dei maggiori ricavi conseguiti dallo studio professionale associato, aveva ripreso a tassazione il maggior reddito da lavoro autonomo alla professionista in ragione della propria quota di partecipazione. Avverso la decisione della CTR l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per avere trascurato di prendere in esame gli elementi addotti a fondamento dell'accertamento presuntivo in ordine alla sussistenza di maggior reddito rispetto a quello dichiarato o, laddove lo aveva fatto, non ne avrebbe fatto una valutazione complessiva onde poterne accertare correttamente la gravità, precisione e concordanza, finendo quindi col violare sostanzialmente la regola sul riparto dell'onere probatorio. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall'Ufficio. Invero, la Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che «La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l'uno dell'altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, così da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l'esistenza del fatto da provare». Orbene, nella fattispecie in esame il giudice di merito aveva preso in considerazione singolarmente solo due dei cinque elementi indiziari, vale a dire la commistione tra le attività prestate dai tre diversi soggetti d'imposta, limitandosi a negare al primo qualsivoglia rilevanza indiziaria e, quanto al secondo, escludendone detto rilievo in ragione del fatto che sarebbero stati stipulati per parcelle professionali accordi, peraltro non specificamente individuati, che determinavano compensi forfettari in misura inferiore ai minimi tariffari secondo quanto consentito dalla tariffa professionale. In tal modo risultava compromesso sul piano logico lo stesso ragionamento inferenziale, essendo mancato sia l'esame singolo di ciascun elemento indiziario addotto dall'ufficio, onde verificare se ciascuno di essi potesse effettivamente acquisire in sé rilievo indiziario, sia il momento di valutazione complessiva di detti elementi onde accertare se essi, quand'anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ciascuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall'altro in un rapporto di vicendevole completamento. Ne consegue l'accoglimento del ricorso.