Lavoratori fragili: non basta l’età per dire che si rischia di più, necessarie patologie preesistenti

Il concetto di fragilità va individuato in quelle condizioni dello stato di salute rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto

Non basta soltanto l’età per stabilire se un lavoratore rischia di più dopo aver contratto Covid-19: “La maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione va intesa congiuntamente alla coesistenza di più patologie che possono integrare una condizione di maggiore rischio”. Così si legge nella circolare n. 13 del 4 settembre 2020 diffusa dai Ministeri del Lavoro, delle Politiche Sociali e della Salute che contiene aggiornamenti e chiarimenti in particolare riguardo ai lavoratori “fragili” e illustra il sistema con cui vengono riconosciute le esenzioni dal lavoro in base allo stato di salute. Il documento, che fa una rassegna delle norme esistenti in materia, è stato stilato pensando soprattutto alla ripresa della scuola: la priorità è infatti capire quanti sono i docenti che potrebbero essere dispensati dall’incarico proprio perché considerati soggetti maggiormente a rischio in caso di infezione da Covid-19. Ma il tema riguarda anche tutti gli altri ambiti lavorativi.

Ebbene, nella circolare si legge che “il concetto di fragilità va dunque individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto e può evolversi sulla base di nuove conoscenze scientifiche sia di tipo epidemiologico, sia di tipo clinico”. Con specifico riferimento all’età “va chiarito che tale parametro, da solo. anche sulla base delle evidenze scientifiche, non costituisce elemento sufficiente per definire uno stato di fragilità nelle fasce di età lavorative”. Tra l’altro, in caso contrario “non sarebbe necessaria una valutazione medica per accertare le condizioni di fragilità”.

Nella circolare si rileva che i dati più consolidati hanno messo in luce una serie di aspetti: il rischio di contagio da Sars-Cov non è significativamente differente nelle differenti fasce di età lavorativa; il 96,1% dei soggetti deceduti presenta una o più comorbilità e precisamente il 13,9% presentava una patologia, il 20,4% due patologie, il 61,8% ne presentava tre o più; le patologie più frequenti erano rappresentate da malattie cronico degenerative a carico degli apparati cardiovascolare, respiratorio, renale e da malattie dismetaboliche; l’andamento crescente dell’incidenza della mortalità all’aumentare dell’età è correlabile alla prevalenza maggiore di queste patologie nelle fasce più elevate dell’età lavorativa; in aggiunta a queste patologie, sono state riscontrate altre a carico del sistema immunitario e oncologiche non necessariamente correlabili all’aumentare dell’età. Ecco perchè, secondo la circolare, il concetto di fragilità “va individuato in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto. Non è dunque rilevabile – si legge in un altro passaggio – alcun automatismo tra le caratteristiche anagrafiche e di salute del lavoratore e la eventuale condizione di fragilità”.

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