La riduzione del debito tributario da parte della commissione, non incide sul sequestro, e dunque sulla confisca, dei rami d'azienda alienati al solo scopo di sfuggire al fisco. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36346 del 22 agosto 2019, respinge la richiesta di riesame, presentata dalla ricorrente sia in proprio sia in qualità di legale rappresentante di una Srl, alla quale erano stati trasferiti quattro supermercati, messi sotto sequestro. Una misura adottata dopo aver verificato che l'alienazione era stata fatta con il fine di permettere alla società “cessionaria” di sottrarsi al pagamento delle maggiori imposte sui redditi e sul valore aggiunto accertati per un anno d'imposta dall'Agenzia delle entrate. Il passaggio di mano era avvenuto in favore della società della quale era legale rappresentante la ricorrente, madre degli indagati per i reati tributari. La donna aveva, a sua volta, stipulato due contratti di affitto con altre due Srl, entrambe amministrate dalla sorella degli indagati. La difesa chiedeva di rivedere la decisione sulla misura cautelare in virtù di un verdetto, con il quale la Commissione tributaria di Salerno, aveva accolto, parzialmente, il ricorso della società cessionaria in liquidazione, contro l'avviso di accertamento relativo alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, facendo così venire meno la pretesa del Fisco. In ogni caso il tribunale avrebbe dovuto perlomeno rimodulare l'entità e il valore del sequestro tarandolo sulla minor somma rimanente del credito verso l'erario. Per la Cassazione non è così. I giudici della terza sezione penale ricordano che i beni immobili che appartengono ad un soggetto indagato per sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, alienati per “far venire meno le garanzie di un'efficace riscossione dei tributi da parte dell'Erario, sono suscettibili di sequestro preventivo per la successiva confisca ai sensi dell'articolo 240, comma primo del Codice penale”. I beni sono, infatti, lo strumento con il quale è stato commesso il reato: ed è ininfluente la loro quantificazione anche come prezzo o profitto del delitto. Il profitto del reato non coincide, infatti, con l'importo delle somme non pagate ma con il valore del bene a garanzia dell'Amministrazione finanziaria. Nello specifico i giudici chiariscono che la riduzione del credito nei confronti dell'erario non blocca la confisca di beni usati per commettere il reato contestato. A questo va aggiunta la considerazione che la sentenza della Commissione tributaria, non definita, non ha annullato l'avviso di accertamento ma ne ha solo ridotto l'ammontare. La società che ha messo in atto la cessione fraudolenta resta dunque debitrice verso l'erario, che può attivare la procedura di riscossione che si era cercato di evitare con l'alienazione simulata.