Corte Costituzionale - Sentenza n. 158 del 21 luglio 2020 La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, come oggi vigente, nella parte in cui esclude la possibilità di riqualificare ai fini dell’imposta di registro gli atti presentati per la registrazione sulla base di elementi extratestuali o di atti collegati. I fatti espressivi della capacità contributiva, sul piano della legittimità costituzionale, non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di eguaglianza tributaria, che sia diretta a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione. IL FATTO La Corte di Cassazione ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli articoli 3 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, D.P.R. n. 131/1986 - Testo Unico dell’imposta di registro, nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e degli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. In sintesi, non sarebbe possibile decidere la controversia senza fare applicazione della norma denunciata e secondo il giudice a quo tale “nuova e più ristretta” formulazione dell’art. 20 sarebbe lesiva: a) dell’art. 53 Cost., sotto il profilo dell’effettività dell’imposizione, in quanto in contrasto con il principio “imprescindibile ed anche storicamente radicato” della prevalenza della sostanza sulla forma “l’esenzione del collegamento negoziale dall’opera di qualificazione giuridica dell’atto produce l’effetto pratico di sottrarre ad imposizione una tipica manifestazione di capacità contributiva”; b) dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’eguaglianza e ragionevolezza, dal momento che “a pari manifestazioni di forza economica, e quindi di capacità contributiva, non possano corrispondere imposizioni di diversa entità [...] a seconda che [...] le parti abbiano stabilito di realizzare il proprio assetto di interessi con un solo atto negoziale piuttosto che con più atti collegati”, non essendo il collegamento negoziale un indice di diversificazione di fattispecie legittimante un trattamento non omogeneo delle situazioni prese a comparazione. LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte Costituzionale evidenzia che il legislatore ha introdotto nell’art. 20 il divieto di fare riferimento, nell’interpretazione degli atti da registrare, ad elementi extratestuali ed atti collegati, rinviando espressamente alla norma sull’abuso del diritto (art. 10-bis della legge n. 212/2000), nel caso fosse necessario vagliare il diverso profilo delle ragioni economiche dell’operazione. La Corte di Cassazione ha sostenuto una nuova interpretazione del nuovo testo dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 indicando che lo stesso violi la Costituzione e affermando, che la propria lettura della norma sull’interpretazione degli atti ai fini dell’imposta di registro fosse l’unica compatibile con la Costituzione. Col diffondersi della prospettiva del contrasto all’abuso del diritto, nella giurisprudenza di legittimità è riemersa un’interpretazione sostanzialista che sostiene la natura antielusiva dell’art. 20 e, successivamente, l’affermazione che l’art. 20 detta una regola meramente interpretativa e non antielusiva, ma tale da consentire in ogni caso di individuare la “reale operazione economica” perseguita dalle parti, in ragione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Ciò, comunque, non ha impedito l’insorgere di un isolato contrasto nella giurisprudenza di legittimità, quando si è affermato che la riqualificazione “non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile, pena l’artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici”. Il legislatore tributario è intervenuto sull’art. 20 stabilendo espressamente che, nell’interpretare l’atto presentato a registrazione, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, si debba prescindere dagli elementi “extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. La Corte Costituzionale non ritiene fondate le questioni prospettate con riferimento agli articoli 3 e 53 Cost., in quanto si basano sull’assunto del rimettente che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, i fatti espressivi della capacità contributiva, indicati negli effetti giuridici desumibili, anche aliunde, dalla causa concreta del negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, sono i soli costituzionalmente compatibili con gli evocati parametri. È proprio tale assunto che non può essere accolto: tali parametri, infatti, sul piano della legittimità costituzionale non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione. Resta ovviamente riservato alla discrezionalità del legislatore provvedere, compatibilmente con le coordinate stabilite dal diritto dell’Unione europea, a un eventuale aggiornamento della disciplina dell’imposta di registro che tenga conto della complessità delle moderne tecniche contrattuali e dell’attuale stato di evoluzione tecnologica, con riguardo, in particolare, sia al sistema di registrazione degli atti notarili, sia a quello di gestione della documentazione da parte degli uffici amministrativi finanziari.