Non commette il reato di autoriciclaggio l’amministratore che distrae l’azienda che apparteneva a una società fallita, reimpiegandola nelle attività economiche di un’altra costituita ad hoc. La Corte di Cassazione (sentenza n. 44198 del 30 ottobre 2019) respinge il ricorso del Pm, che contestava l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva avallato la scelta del Gip. Un verdetto che escludeva il reato, per l’assenza di una concreta idoneità dissimulatoria, e dunque il sequestro preventivo di oltre 9 milioni di euro nei confronti del manager e della Srl per la responsabilità degli enti nel reato di autoriciclaggio, come previsto dal Dlgs 231/2001 (articolo 25-octies). Secondo la pubblica accusa la decisione era il risultato di una lettura sbagliata della norma sull’autoriciclaggio, che, nell’utilizzare la frase «in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa», non farebbe riferimento a un connotato esclusivo della condotta, ma «al risultato complessivo dell’azione, che deriva dal combinato tra condotta di autoriciclaggio in senso stretto e delitto presupposto». E se quest’ultimo è dunque idoneo a “nascondere” la provenienza delittuosa del bene, non servono altri accorgimenti dissimulatori. Nello specifico la distrazione era stata messa in atto con un contratto di affitto dell’ azienda simulato, in favore di una nuova società formalmente amministrata e partecipata dai familiari degli esponenti della fallita. Un meccanismo finalizzato a dare un’apparenza di legalità al negozio e dunque a far sembrare l’azienda di provenienza lecita. Il contratto poi, pur concluso prima dell’entrata in vigore della norma sull’autoriciclaggio, aveva avuto conseguenze nel tempo. Per la Cassazione però la lettura del Pm presta il fianco a due critiche. La conclusione si traduce, infatti, in una non consentita duplicazione del reato presupposto, che non può far scattare al tempo stesso la bancarotta per distrazione e l’autoriciclaggio. Ma, anche ammettendo la correttezza della tesi del Pm, questa sarebbe comunque in contrasto con l’articolo 2 del Codice penale che impedisce di punire qualcuno per un reato non previsto dalla legge del tempo. Il riciclaggio è, infatti, un reato istantaneo, nello specifico tutte le operazioni di impiego dell’azienda di costruzione ed appalti pubblici si erano consumate prima dell’introduzione dell’articolo 648-ter, mentre era ininfluente la durata dei contratti ottenuti grazie al trasferimento fraudolento. Anche ipotizzando un concorso di reati tra bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio - per il bene sottratto ai creditori e reimmesso sul mercato, riutilizzando l’oggetto del reato presupposto - sarebbe comunque necessario che vendite e cessioni fossero successive all’operatività della norma. Detto questo, la Cassazione chiarisce che per configurare l’autoriciclaggio è necessaria una particolare capacità dissimulatoria, tale da dimostrare che l’autore abbia effettivamente voluto occultare l’origine illecita dei beni. Condizione che, nello specifico, non sembra soddisfatta dalla sola distrazione e dal successivo contratto fittizio, senza ulteriori «accorgimenti».