L’Iva illegittimamente addebitata in fattura al cessionario dal cedente, a titolo di rivalsa, non può essere detratta dal primo nonostante l’erroneo assoggettamento dell’operazione ad imposta da parte del cedente. A stabilirlo è la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 18085 depositata il 5 luglio 2019. Il principio, in linea anche con la disciplina e la giurisprudenza a livello comunitario, sembra mutare il precedente orientamento dei giudici di legittimità. IL FATTO Una società presentava istanza di rimborso Iva alla quale l’Ufficio rispondeva con un diniego. Tale decisione era basata sul fatto che la contribuente aveva indebitamente detratto l’imposta erroneamente addebitata nella misura ordinaria anziché agevolata, in relazione a fatture ricevute da soggetti terzi in forza di contratti di appalto. La società impugnava tale diniego e la CTP accoglieva il ricorso, con decisione confermata in appello. La CTR riteneva infatti dovuto il rimborso, sostanzialmente in quanto non vi era in atti alcuna dichiarazione che attestasse le condizioni per l’applicazione dell’Iva agevolata: da qui la correttezza della richiesta avanzata dalla contribuente. L’Ufficio impugnava anche la sentenza di secondo grado, sostenendo che l’aliquota ridotta operasse indipendentemente dalla presenza o meno di una formale richiesta da parte dell’emittente la fattura. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto le doglianze dell’Ufficio, cassando con rinvio la pronuncia d’appello. I Giudici, superando il risalente opposto orientamento, hanno voluto dare continuità alla più recente interpretazione secondo la quale, in caso di operazione erroneamente assoggettata ad Iva, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata e fatturata, atteso che l’esercizio del relativo diritto presuppone la realizzazione effettiva di un’operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta. Nella specie la decisione della CTR era contraria a tale principio, anche perché si basava sulla pretesa necessità di una dichiarazione attestante il possesso dei requisiti per l’agevolazione. Ciò nonostante fosse tra le parti incontestato che i contratti di appalto avessero ad oggetto immobili con destinazione abitativa. Di questa circostanza si era accertato anche il giudice d’appello e pertanto non vi era dubbio che le fatture contestate dall’Ufficio fossero state emesse per operazioni con la corretta applicazione dell’Iva al 4%. Ne consegue che la contribuente non poteva detrarre la maggior Iva corrispondente all’aliquota ordinaria erroneamente applicata. Il tutto come confermato anche dalla normativa a livello europeo e dalla Corte di Giustizia, la quale ha stabilito che l’esercizio del diritto alla detrazione non si estende all’imposta dovuta solo per il fatto che la stessa viene indicata in fattura, ancorché in presenza di un errore.