L'atto complesso con il quale l’Amministrazione finanziaria, in presenza di un abuso del diritto, mira a ottenere la restituzione di una somma percepita non in buona fede, rientra nella disciplina dell’articolo 2033 cc, che prevede anche il diritto a percepire gli interessi legali dal giorno dell’avvenuto pagamento. Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16001 del 14 giugno 2019. IL FATTO Oggetto della controversia è l’atto con il quale il centro operativo di Pescara ha chiesto la restituzione delle somme (circa 37.914.969 euro oltre gli interessi) a una società straniera, residente in Italia, corrisposte a seguito di un centinaio di istanze separate di rimborso, in relazione ai crediti d’imposta sui dividendi ex articolo 10, convenzione Italia-Regno Unito, contro le doppie imposizioni, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 329/1990. L’atto dell’Agenzia delle entrate trova la sua fonte nelle indagini disposte dalla procura della Repubblica di Pescara, dalle quali è emerso che i crediti erano spettanti limitatamente alla somma di circa 7.267.390 euro, pari al 16,42% del totale, poiché il restante 83,58% derivava da operazioni simulate e consistenti in un mero “prestito” di titoli, effettuate in prossimità del cosiddetto “stacco di cedola”, al solo scopo di far sorgere indebiti crediti d’imposta rimborsabili in Italia grazie all’intervento di un intermediario abilitato. In particolare dal verbale della Guardia di finanza è emerso che: una banca d’affari, controllante della società inglese, acquisiva la disponibilità di una rilevante massa di titoli azionari emessi da società italiane, mediante contratti di stock loan (prestito temporaneo) stipulati con vari investitori internazionali prima del pagamento del dividendo, cedeva tali titoli alla contribuente che li deteneva solo per il tempo necessario a consentirle di ricevere il dividendo e poi li ritrasferiva alla sua controllante quest’ultima, alla scadenza del contratto di stock loan, a sua volta, li restituiva agli originari detentori. La natura simulata degli investimenti risultava sia dalla circostanza che la società non aveva mai effettivamente acquistato e gestito gli strumenti finanziari e che, di conseguenza, non si era mai assunta alcun rischio né di regolamento (eventuale insolvenza della controparte nelle operazioni eseguite fuori dai mercati regolamentati) né di mercato (fluttuazione delle quotazioni, tassi di cambio) tipici, invece, delle operazioni di borsa, sia dal fatto che le cessioni di titoli erano state effettuate sempre con gli stessi quantitativi di provenienza e, successivamente, tra gli stessi soggetti. Il vantaggio di tale meccanismo consentiva l’applicazione della convenzione Italia-Regno Unito che, diversamente da altre convenzioni internazionali, oltre al pagamento del dividendo, prevedeva anche il rimborso del credito d’imposta da parte dell’Amministrazione finanziaria italiana. La società ha impugnato l’atto e le sue doglianze sono state respinte in entrambi i gradi di merito. In particolare, la Ctp ha affermato che la società ha indebitamente percepito gli importi e, prima ancora, li ha anche indebitamente chiesti, “nella consapevolezza … di aver posto in essere attività di treaty shopping (come accertato almeno per l’83,52% delle operazioni), in modo da ottenere rimborsi di credito d’imposta (altrimenti non spettanti)”. La Ctr, poi, dopo aver disposto la restituzione degli importi indebitamente percepiti, ha affermato altresì che “... è principio generale dell’ordinamento che la restituzione di una somma percepita in mala fede ... debba essere gravata degli interessi legali dal giorno dell’avvenuto pagamento (rimborso) ...”. La società ha proposto anche ricorso per cassazione, lamentando la parziale illegittimità della sentenza relativamente agli interessi legali applicati sul recupero dei crediti rimborsati, per violazione e falsa applicazione degli articoli 43, comma 1, Dpr n. 602/1973, e 2033 cc. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici di legittimità lo hanno respinto e hanno statuito che, in presenza di abuso di diritto, per la ripetizione di crediti d’imposta non spettanti, è “esclusa l’applicabilità dell’art. 43 d.P.R. 602/1973 ...” (Cassazione, sentenza n. 16001/19). La Cassazione ha esaminato il contenuto dell’atto con il quale l’Agenzia, da una parte, ha negato il rimborso del credito d’imposta per la parte non ancora corrisposta alla società e, dall’altra, ha chiesto la restituzione delle somme già rimborsate, comprensive degli interessi legali. Con riferimento alla restituzione dei rimborsi indebiti, la Corte suprema ha affermato che la contestazione della società relativa al convincimento del giudice di merito (sul carattere fittizio di scambio e restituzione dei titoli, oltre che abusivo, in quanto teso a ottenere il pagamento di un credito d’imposta non reale, in ragione dei tempi e dei modi di svolgimento delle operazioni), richiedeva un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente motivato. Al riguardo la Corte ha ritenuto che, nella sentenza impugnata, il giudice di merito abbia “dato compiutamente conto” e abbia “adeguatamente motivato le ragioni della sua decisione richiamando anche… l’attività e gli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza, argomentando su di esse e sulle diverse prospettazioni della società ricorrente ...”. Poi, con riferimento alla determinazione degli interessi, la società ha ritenuto che non dovesse trovare applicazione l’articolo 2033 cc, ma piuttosto l’articolo 43, comma 1, Dpr n. 602/1973, non prevedendo quest’ultimo alcuna applicazione di interessi sulle somme da recuperare “erroneamente rimborsate”. La Cassazione, invece, ha escluso l’applicazione dell’articolo 43, poiché le somme percepite dalla contribuente sono state rimborsate a seguito non di errori (materiali e/o di calcolo) dell’Amministrazione finanziaria. I rimborsi, infatti, pur essendo pienamente legittimi sul piano formale e documentale, in concreto sono stati “indebiti”, cioè conseguenti a carenza dei presupposti previsti dalla legge nazionale e dalla convenzione Italia-UK. Tali ragioni concrete hanno condotto la Cassazione a includere, nella somma da restituire all’Agenzia delle entrate, anche gli interessi legali. Per la quantificazione di questi ultimi, l’articolo 2033 cc ne prevede la diversa decorrenza dal momento della presentazione della domanda ovvero dal giorno del pagamento, a seconda, rispettivamente, che le somme indebite siano state percepite in buona fede ovvero in mala fede. Nella fattispecie al loro esame, i giudici di piazza Cavour, riscontrando un abuso del diritto, hanno concluso che la somma indebitamene percepita non in buona fede deve essere restituita, ex articolo 2033 cc, con “gli interessi legali dal giorno dell’avvenuto pagamento e, nella fattispecie, dal dì del rimborso non dovuto ...”.