Con l’ordinanza n. 425 del 14 gennaio 2020, la Corte di Cassazione ha confermato che la risposta negativa del fisco a un interpello disapplicativo è atto impugnabile anche se non rientra tra quelli elencati dall’art. 19 D.Lgs. n. 546/1992. Esso infatti ha la capacità di incidere immediatamente sulla sfera giuridica del destinatario e quindi sorge in capo al contribuente destinatario l’interesse ad agire e ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto. IL FATTO Una società stipulava un contratto di locazione finanziaria e presentava successivamente ai fini cautelativi un’istanza di interpello disapplicativo ex art. 30 L. n. 724/1994 in tema di società di comodo. L’Ufficio si esprimeva in senso negativo, ritenendo inammissibile la domanda. Avverso tale provvedimento la contribuente presentava ricorso introduttivo, che veniva accolto. Contro detta decisione veniva proposto appello da parte dell’ufficio. Il giudice di seconde cure accoglieva il gravame ritenendo che il ricorso di primo grado fosse improcedibile stante la non impugnabilità dell’esito dell’interpello disapplicativo, atto estraneo all’elenco degli atti impugnabili contenuto nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. La società ricorreva in Cassazione, eccependo il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto il diniego di interpello disapplicativo, non incluso nell’elenco. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente. Innanzitutto la Suprema Corte rammenta l’orientamento secondo il quale il catalogo degli atti impugnabile è suscettibile di interpretazione estensiva essendo ormai riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che con l’esplicitazione della ragioni di fatto e di diritto che la sorreggono, porti comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa degli atti dichiarati espressamente impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Al contrario di quanto eccepito dall’Ufficio, consentire al contribuente l’impugnazione di un provvedimento di rigetto o dichiarativo dell’inammissibilità dell’istanza, provvedimenti questi, che intervengono in una fase preventiva all’ emissione dell’atto impositivo e senza obbligo di adeguamento in capo al contribuente, non si tradurrebbe nel riconoscimento di un doppio grado di tutela nel merito, prima contro l’interpello e dopo contro l’avviso di accertamento. Al contrario il contribuente avrebbe la possibilità per ragioni di economia processuale di impugnare due atti riferiti a due fasi differenti. Per le stesse ragioni, evidenziano i giudici di legittimità, è infatti già consentita dall’ordinamento l’impugnazione della cartella di pagamento anche se non si è avuto prima l’avviso di accertamento. D’altra parte il provvedimento di rigetto dell’interpello disapplicativo, nella specie, era immediatamente lesivo della possibilità di ottenere facilmente accesso al credito per la contribuente e dunque la tutela giurisdizionale era giustificata da un interesse attuale concreto, personale, economicamente valutabile, alla sua rimozione.