Il lavoratore che agisca contro il datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio deve provare l’inadempimento e il nesso di causalità materiale con il danno, ma non anche la colpa del datore di lavoro. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 9120 del 5 aprile 2024. IL FATTO La Corte d'Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda di un lavoratore, con mansioni di autista, volta ad ottenere il risarcimento de danno differenziale conseguente all'infortunio occorsogli a seguito di una caduta, mentre provvedeva ad effettuare il rifornimento di gasolio per il camion che aveva in dotazione; la caduta era stata causata dall'intralcio costituito dal tubo di erogazione dell'impianto di rifornimento, sito presso la sede aziendale, mentre il lavoratore si trovava posizionato su una piattabanda collocata ad un livello inferiore rispetto al distributore. Secondo i giudici di appello né dalle deposizioni testimoniali né dal ricorso introduttivo del giudizio emergevano le norme di prevenzione violate dal datore di lavoro, pertanto l'incidente era da attribuire a negligenza e imprudenza dello stesso lavoratore. Avverso tale sentenza il dipendente ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che l'incidente era da attribuirsi alla esclusiva responsabilità del datore di lavoro per non avere apprestato le opportune misure di sicurezza nell'area di sosta dove era ubicato il serbatoio del gasolio per consentire il rifornimento dei mezzi. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando preliminarmente che l'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore di adottare tutte le misure e le cautele atte a preservare l'integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche concrete dei luoghi di lavoro e, in generale, della realtà aziendale. La formulazione della norma richiamata, attraverso l'espresso riferimento alle "misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro", correla l'obbligo di protezione alle concrete e indefinite situazioni di rischio a cui il lavoratore può trovarsi esposto e in tal modo impone al datore di lavoro l'adozione non solo delle misure cd. nominate ma anche di tutte quelle che, seppure non tipizzate, siano richieste dalle conoscenze tecniche e dall'esperienza riferite ad un determinato momento storico. Il Collegio ha, altresì, evidenziato che, qualora il lavoratore agisca verso il datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio, ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, ossia il datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione ex art. 1218 c.c.. L'onere di allegazione del lavoratore non può, invece, estendersi fino a comprendere anche l'individuazione delle specifiche norme di cautela violate, come preteso dalla Corte di merito nel caso in esame, specie ove non si tratti di misure tipiche o nominate ma di casi in cui molteplici e differenti possono essere le modalità di conformazione del luogo di lavoro ai requisiti di sicurezza. È, invece, necessario, che il lavoratore alleghi la condizione di pericolo insita nella conformazione del luogo di lavoro, nella organizzazione o nelle specifiche modalità di esecuzione della prestazione, ed il nesso causale tra la concretizzazione di quel pericolo e il danno psicofisico sofferto; incombe, invece, su parte datoriale l'onere di provare l'inesistenza della condizione di pericolo oppure di aver predisposto tutte le misure atte a neutralizzare o ridurre, al minimo tecnicamente possibile, i rischi esistenti. I giudici di legittimità non hanno, infine, mancato di ricordare che, in materia di tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore, il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell'abnormità, dell'imprevedibilità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute. Ne consegue che, qualora non ricorrano simili caratteristiche, nella condotta del lavoratore, l'imprenditore è integralmente responsabile dell'infortunio che sia conseguenza dell'inosservanza delle norme antinfortunistiche. Ebbene, nel caso di specie, la Corte d'appello non aveva fatto corretta applicazione dei principi richiamati, sia quanto al contenuto dell'onere di allegazione e prova del lavoratore, avendo ritenuto necessaria l'individuazione delle norme di prevenzione violate, e sia nella valutazione della eventuale negligenza di quest'ultimo, avendo considerato la stessa idonea da sola ad elidere la responsabilità datoriale.