Nel caso di infortunio sul lavoro deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell'articolo 1227 c.c., comma 1, quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza; oppure abbia egli stesso impartito l'ordine, nell'esecuzione puntuale del quale si sia verificato l'infortunio; od ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi. Ricorrendo tali ipotesi, l'eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell'infortunio, ed è perciò giuridicamente irrilevante. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 8988 del 15 maggio 2020. IL FATTO Un operaio perse la vita a causa dello scoppio del fusto metallico nel quale stava pompando olio idraulico con un compressore, invece che con una pompa manuale. Il fusto era stato in precedenza modificato artigianalmente, proprio per consentire l'impiego del compressore, e tale modifica risultò determinante per la causazione dell'incidente. I familiari della vittima chiesero al Tribunale di Brescia la condanna della società datrice di lavoro della vittima al risarcimento del danno. Il Tribunale accolse la domanda, ma attribuì alla vittima un concorso di colpa del 50%. La sentenza venne impugnata dai familiari dinnanzi alla Corte di Appello che ritenne che il concorso di colpa della vittima, pur sussistente, dovesse quantificarsi nella minor misura del 30%. Nel ricorso in Cassazione i familiari deducono che è accertato che il datore di lavoro non aveva fornito la prova di avere attuato la specifica procedura scritta che impone l'uso esclusivamente di pompe manuali per il travaso di olio idraulico; che non vi era prova che il lavoratore avesse seguito corsi di addestramento per le operazioni di travaso dell'olio idraulico; che non vi era prova che fosse stata la vittima ad eseguire le modifiche artigianali al fusto esploso. In mancanza di tali prove la responsabilità per l'accaduto si sarebbe dovuta ascrivere interamente all'impresa datrice di lavoro. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La sentenza in commento è di particolare interesse perché le sue motivazioni ripercorrono i "pochi e semplici principi" (così la lettera della sentenza) "in base ai quali valutare se, ed in quale misura, la vittima di un infortunio sul lavoro possa ritenersi responsabile, in tutto od in parte, del danno da essa stessa sofferto". La vittima di un infortunio sul lavoro può ritenersi responsabile esclusiva dell'accaduto solo in un caso: quando il lavoratore abbia tenuto "un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute" (ex multis Cass. 798/2017). Il datore non può rispondere dei rischi professionali totalmente scollegati dalla prestazione che il lavoratore rende in quanto tale. Se il rischio cui si espone il lavoratore è privo di connessione con l'attività professionale, ed il lavoratore sia venuto a trovarsi esposto ad esso per scelta volontaria, arbitraria e diretta a soddisfare impulsi personali, quello non sarà più un "rischio lavorativo", ma diviene un "rischio elettivo", cioè creato dal prestatore d'opera a prescindere dalle esigenze della lavorazione, e quindi non meritevole della tutela risarcitoria od assicurativa (da ultimo Cass. 7649/2019). Il rischio elettivo sussiste in presenza di tre elementi: - un atto del lavoratore volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; - la direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; - la mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (Cass. 7649/2019). Ricorrendo tale ipotesi, la condotta del lavoratore spezza il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l'infortunio, e la responsabilità datoriale viene meno per mancanza dell'elemento causale. La sentenza in commento continua rispondendo alla domanda: a quali condizioni, al di fuori delle ipotesi di rischio elettivo, il lavoratore vittima dell'infortunio può ritenersi corresponsabile? In risposta alla domanda la giurisprudenza ha stabilito i seguenti principi. Il primo principio concerne l'articolo 1227 c.c., comma 1, a norma del quale "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguente che ne sono derivate", che si applica anche alla materia degli infortuni sul lavoro. Il secondo principio specifica che, nella materia del rapporto di lavoro subordinato, l'applicazione dell'articolo 1227 c.c. va coordinata con le speciali previsioni che attribuiscono al datore di lavoro il potere di direzione e controllo, ed il dovere di salvaguardare l'incolumità dei lavoratori. Quando la condotta della vittima di un infortunio sul lavoro possa astrattamente qualificarsi come imprudente, deve escludersi qualsiasi concorso di colpa ex articolo 1227 c.c., a carico del danneggiato in tre ipotesi. La prima ipotesi è quella in cui l'infortunio sia stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali. In questo caso il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l'eventuale imprudenza del lavoratore non è più "causa", ma degrada ad "occasione" dell'infortunio. Non è possibile attribuire al lavoratore l'onere di verificare la pericolosità delle direttive di servizio impartitegli dal datore di lavoro, assumendosene il rischio (da ultimo Cass. 30679/2019). La seconda ipotesi è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza. Il datore ha, infatti, il dovere di proteggere l'incolumità del lavoratore, nonostante l'eventuale imprudenza o negligenza di quest'ultimo, con la conseguenza che la mancata adozione da parte datoriale delle prescritte misure di sicurezza costituisce in tal caso l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso (Cass. 12538/2019, 24798/2016). La terza ipotesi è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro. In questo caso infatti, anche se concausa del danno è l'imprudenza del lavoratore, causa dell'imprudenza fu la violazione, da parte del datore dell'obbligo di formare i dipendenti (Cass. 30679/2019). Alla luce di questi principi la Suprema Corte ha cassato e rinviato la sentenza impugnata alla Corte d'appello per il riesame.