Gli importi riscossi rilevanti ai fini delle indagini finanziarie vanno riferiti alle operazioni fuori conto e non ai versamenti bancari non giustificati. La conferma giunge dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 8905 del 4 aprile 2024, che ha preso in esame la portata dell’intervento abrogativo della sentenza n. 228/2014 della Corte Costituzionale sui prelievi non giustificati in tema di indagini bancarie. La giurisprudenza di legittimità è ormai costante nell'affermare - definitivamente superando minoritarie pronunce di segno contrario (tra cui Sez. 5, n. 23041 del 11/11/2015) - che "resta invariata la presunzione legale posta dall'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l'estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all'esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l'equiparazione logica tra attività". Segnatamente, come osservato in motivazione dalla Sez. 5, n. 22931 del 2018: "la maggior coerenza di tale orientamento con la sentenza della Corte costituzionale discende dalla considerazione che la [...] discrasia tra motivazione e dispositivo della stessa non si traduce in un vero e proprio contrasto tra le due parti della pronuncia, il che comporta che la sua portata precettiva debba essere individuata integrando il dispositivo con la motivazione (arg. da Cass., sez, lav., n. 12841 del 2016). Ed in questa è chiaramente desumibile, anche alla stregua della questione di costituzionalità sollevata dal giudice remittente, che la Corte costituzionale ha inteso escludere l'operatività della presunzione legale basata sugli accertamenti bancari, nei confronti dei lavoratori autonomi, solo ed esclusivamente ai prelevamenti. E lo si ricava dalle argomentazioni svolte dal Giudice delle leggi nel corpo motivazionale della pronuncia (punti 4, 4.1 e 4.2) e dalla conclusione tratta al punto 5, ove si afferma che «Pertanto nel caso di specie la presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito», nessun accenno venendo fatto in tali sviluppi argomentativi ai «versamenti» in conto". Inoltre, come ricordato sempre da Sez. 5, n. 22931 del 2018: "questa Corte ha affermato che «anche con riferimento al testo dell'art. 32 d.P.R. n. 600/73 antecedente l'entrata in vigore della novella del 2004 è del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la norma in questione e la presunzione in essa contenuta seppure letteralmente riferibile ai soli 'ricavi', sia da intendersi applicabile anche al reddito da lavoro autonomo e non solo al reddito di impresa» (Cass. n. 802 del 2011; n. 11750 e n. 430 del 2008; Cass. n. 4601 del 2002); ne consegue, nei limiti della operatività nei confronti dei lavoratori autonomi della presunzione legale di cui all'art. 32 cit. con riguardo ai soli «versamenti» non giustificati, la applicabilità retroattiva della norma agli anni di imposta precedenti all'entrata in vigore della legge n. 311 del 2004". L'art. 7-quater d.l. n. 193/2016, conv. con mod. dalla L. n. 225 del 2016, alla lett. a) del comma 1, si è limitato a prestare ossequio al "decisum" di C. Cost. n. 228 del 2014, eliminando dall'art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 le parole: "o compensi", talché da allora la disposizione rilevante recita: "[...] alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi [o compensi] a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili". In ragione di siffatto tenore letterale, l'eliminazione del riferimento ai "compensi" afferisce espressamente soltanto ai prelevamenti dei professionisti o più in generale lavoratori autonomi, e non anche ai versamenti, ingiustificati: per i quali versamenti, dunque, sopravvive tal quale la presunzione di maggior reddito. Né - chiosano gli Ermellini - ad esiti diversi conduce la considerazione, nell'art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, a fianco dei "prelevamenti", degli "importi riscossi" ("[...] i prelevamenti o gli importi riscossi [...]"). Gli "importi riscossi" - precisano i giudici - non rilevano come versamenti in sé e per sé e dunque non legittimano un'esegesi che, per il loro tramite, introduca un fattore di equiparazione tra prelevamenti e versamenti. In particolare, gli "importi riscossi" si identificano sostanzialmente con operazioni cd. extra conto - o comunque non direttamente intermediate in conto - di regolazione a fronte di versamenti. Un tanto si verifica tipicamente nelle operazioni di cambio di assegni o di valute: ragion per cui la rilevanza 'anche' di un tal genere di operazioni, oltreché di quelle 'contabilizzate' (ossia registrate in conto), in realtà, ha semmai una funzione estensiva (e non restrittiva) della presunzione. Infine, gli Ermellini colgono l'occasione per ricordare che "in tema di accertamenti bancari, gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 dei 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell'erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l'obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l'efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze" (cfr., ad es., Sez. 5, n. 13112 del 30/06/2020). In ragione di quanto precede, la presunzione "consente all'Amministrazione finanziaria di riferire 'de plano' ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente" (Sez. 5, n. 10249 del 26/04/2017). Ciò significa che, "qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo l'art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova, non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili" (in termini, da ultimo, Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016). Donde, "poiché il contribuente ha l'onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l'estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione" (Sez. 6-5, n. 10480 del 03/05/2018).