Inammissibile la domanda di rimborso se la cartella non è stata impugnata

L'omessa impugnazione della cartella emessa a seguito di liquidazione automatica per il mancato riconoscimento di un credito Iva, preclude al contribuente la possibilità di ricorrere all’istituto del rimborso per il recupero della somma e di dimostrare la spettanza del credito negato. È quanto ribadisce la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 31263 del 29 novembre 2019. IL FATTO A seguito di liquidazione automatizzata (articoli 36-bis del Dpr n. 600/1973 e 54-bis del Dpr n. 633/1972) effettuata per l’anno d’imposta 2003, con cui si era escluso un credito Iva indicato in compensazione, la società aveva ricevuto una cartella che, tuttavia, non aveva impugnato. Tra la comunicazione di irregolarità e la notifica della cartella, la contribuente aveva presentato un’istanza di rimborso; successivamente alla notifica, aveva chiesto l’annullamento della cartella in autotutela. Con il ricorso introduttivo la società aveva censurato, cumulativamente, sia il silenzio-rifiuto formatosi a fronte dell’istanza di rimborso che il diniego di autotutela. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile in primo grado in ragione della mancata impugnazione della cartella, ma accolto in appello in virtù della tempestività dell’istanza di rimborso, considerando a tal fine, quale dies a quo, la data di presentazione (nel 2006) della dichiarazione Iva per l’anno 2002. L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza di appello in base a sette motivi; di essi è stato accolto il primo, con cui era stata dedotta l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancata impugnazione della cartella di pagamento, in riferimento all’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte, decidendo nel merito e rigettando il ricorso introduttivo, ha dichiarato assorbite le ulteriori doglianze tra le quali la seconda, con cui si lamentava la tardività dell’istanza di rimborso. Anzitutto, la Cassazione ricorda che la società aveva inizialmente optato per la compensazione dell’“ipotizzato” credito Iva, determinando l’Agenzia a chiedere chiarimenti attraverso la comunicazione di irregolarità, non riscontrata. Pertanto, una volta notificata la cartella, la società avrebbe dovuto impugnarla e “in quella sede” dimostrare la sussistenza del credito (Cassazione, sezioni unite, decisione 17757/2016). Non essendo ciò avvenuto il credito doveva ritenersi definitivamente disconosciuto dall’ufficio, “con conseguente preclusione della possibilità di richiedere in successivo procedimento un nuovo accertamento ed un nuovo giudizio sull'esistenza del credito stesso”. La perentorietà del termine di impugnazione della cartella, osserva la Corte, ha la funzione di rendere incontestabile il credito fiscale e di consentirne una rapida riscossione, tale esigenza verrebbe pregiudicata qualora, attraverso l’istanza di rimborso, fosse consentito rimettere in discussione il rapporto controverso; in altri termini, attraverso la richiesta di rimborso e l’impugnazione del diniego di autotutela, la società “tendeva ad eludere la perentorietà dei termini” stabiliti dall’articolo 21 del Dlgs n. 546/1992 e a modificare un titolo esecutivo ormai consolidato. Brevi osservazioni Nonostante la peculiarità della vicenda, che ha costituito il motivo della compensazione delle spese di lite, la questione non è nuova, fattispecie simili sono state esaminate, ad esempio, dalla Cassazione, sezione V, pronunce n. 17718/2004 (citata nella motivazione), e n. 2249/2003, secondo cui l’omessa impugnazione di un avviso di liquidazione nel termine di legge rende l’atto inoppugnabile e il pagamento della somma liquidata non è idoneo a riaprire, attraverso l’istituto del rimborso, un termine scaduto. In tale ultima sentenza vi è la precisazione che il silenzio-rifiuto non ha sempre natura provvedimentale e non è, quindi, sempre immediatamente impugnabile, occorre, infatti, considerare che in taluni casi il provvedimento successivo può essere “meramente ripetitivo o meramente esecutivo o meramente conseguente ad un precedente provvedimento immediatamente lesivo, e quindi non generale, che l'interessato non si sia curato di impugnare tempestivamente”. La soluzione della Corte è poi coerente con l’orientamento (vedi, da ultimo, Cassazione, sezione V, decisione n. 30376/2019), oggi definitivamente confermato da Corte costituzione. n. 181/2017, secondo cui non è ammissibile il diniego di annullamento dell’atto impositivo in sede di autotutela (a meno che non siano addotti motivi di interesse generale), in quanto esso finirebbe per aggirare i termini perentori di ricorso. Per concludere, si può osservare che la soluzione della Corte sarebbe stata con ogni probabilità la medesima anche se la cartella fosse stata impugnata, in quanto i due giudizi avrebbero avuto il medesimo petitum mediato, ovvero il riconoscimento del credito (vuoi sotto forma di rimborso, vuoi in compensazione) e la medesima causa petendi, ovvero la sussistenza e la spettanza del credito. Anche in quel caso sarebbe valso il noto brocardo, che appare nella sentenza in commento, electa una via non datur recursus ad alteram.

Inammissibile la domanda di rimborso se la cartella non è stata impugnata

Trascorso il tempo perentorio previsto per aprire il contenzioso, l’atto diviene inoppugnabile e il pagamento della somma liquidata non è idoneo a riaprire il termine ormai scaduto

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