Corte Costituzionale - Sentenza n. 54 del 13 marzo 2020 La Corte Costituzionale, con sentenza n. 54 del 13 marzo 2020, dichiara che non viene meno al principio di eguaglianza la disciplina che dispone nelle donazioni, un trattamento impositivo diverso tra gli affini e i parenti. La selezione dei soggetti passivi ad un’imposta rientra nell’esercizio del potere discrezionale del legislatore tributario, il quale ha costantemente graduato l’imposizione sulle successioni e donazioni in ragione della prossimità familiare tra il disponente e il beneficiario rispondendo a volte all’esigenza della semplificazione e del rilancio dell’economia e non alla tutela costituzionale della famiglia. IL FATTO La Commissione tributaria regionale del Molise ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell’economia), nella parte in cui non include gli affini nel novero dei soggetti per i quali è escluso il pagamento dell’imposta da esso disciplinata. La norma prevede che: a) «i trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado, sono soggetti alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso, se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all’importo di 350 milioni di lire»; b) «in questa ipotesi si applicano, sulla parte di valore della quota che supera l’importo di 350 milioni di lire, le aliquote previste per il corrispondente atto di trasferimento a titolo oneroso». Secondo il ricorrente, la disposizione censurata lederebbe l’art. 3 della Costituzione, in relazione al principio di eguaglianza, dal momento che la disciplina da essa dettata per gli affini sarebbe ingiustificatamente diversa da quella riservata ai parenti. LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte Costituzionale rileva che la selezione dei soggetti passivi, prevista nella normativa richiamata, in quanto coerente con il presupposto, rientra nell’esercizio del potere discrezionale del legislatore tributario, che ha costantemente graduato l’imposizione sulle successioni e donazioni in ragione della prossimità familiare tra il disponente e il beneficiario. La selezione dei soggetti passivi trova inoltre, nel caso in esame, una non irragionevole giustificazione nell’esigenza della semplificazione e del rilancio dell’economia, la normativa non era stata in effetti emanata ai fini della tutela costituzionale della famiglia. In merito all’ipotesi del rimettente sull’omogeneità tra parenti e affini, la sentenza evidenzia che, dall’esame delle numerose disposizioni indicate a raffronto dal giudice a quo, risulta evidente la mancanza di elementi che dimostrino la necessità sistematica di garantire una ricorrente e generalizzata omogeneità di trattamento tra parenti e affini. La scelta legislativa di equiparazione del parente e dell’affine non discende dall’applicazione di un principio generale di assoluta e necessaria parificazione, in ogni ipotesi, del trattamento giuridico di parenti e affini, ma dalla concreta valutazione dell’interesse sotteso alla specifica disciplina e dal conseguente obiettivo di impedire lo sviamento dal corretto esercizio di determinate funzioni. Per quanto evidenziato, la Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale in quanto non è ravvisabile, in relazione all’art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 2001, una lesione del principio di eguaglianza: “le situazioni e le rationes delle normative poste in comparazione risultano, infatti, eterogenee, sia intrinsecamente, sia in rapporto con la fattispecie del giudizio principale”.