In caso di rapporto d’imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull’assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio, sussiste la legittimazione di quest’ultimo in ordine all’impugnazione dell’atto impositivo. Questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11351 del 29 aprile 2024. Per orientamento consolidato di legittimità l’accertamento fiscale avente ad oggetto obbligazioni tributarie i cui presupposti siano maturati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente, ovvero nel periodo d’imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, ove sia stato notificato soltanto al fallito, e non anche al curatore del fallimento, è inefficace nell’ambito della procedura fallimentare (Cass. 14/09/2016, n. 18002). L'esercizio di un'attività in proprio da parte de fallito non è astrattamente precluso, come desumibile dall'art. 46 L. fall, che, nell'elencare i beni esclusi dal fallimento, fa espressamente riferimento a quanto il fallito guadagna con la sua attività, se pure nei limiti di quanto necessario al mantenimento suo e della famiglia. Si è chiarito in proposito, che il regime di inefficacia previsto dall'art. 44, comma 2, L. fall, trova integrale applicazione soltanto per i pagamenti ricevuti dal fallito per titoli anteriori al fallimento e si ricollega tanto alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, quanto allo spossessamento conseguenti alla dichiarazione di fallimento e cioè al fatto che quest'ultima priva il fallito, dalla data di deposito della sentenza, dei poteri di amministrazione e disposizione del suo patrimonio, trasferendoli agli organi della procedura fallimentare, nell'interesse della massa dei creditori (Cass. 29/01/2015, n. 1724). Altra questione, invece, è la legittima apprensione alla massa di beni sopravvenuti, ivi inclusi quelli derivanti da attività in proprio, se pure sul punto va rammentato che le attività non possono acquisirsi separatamente dalle passività che ad esse ineriscono (Cass. Sez. U. 10 dicembre 1993, n. 12159, Cass. 20/03/2018, n. 6978, Cass. n. 1724 del 2015 cit.). La Suprema Corte, per altro, a Sezioni unite, ha chiarito che l'effetto dello spossessamento del fallito non è totale in quanto non opera, non solo con riguardo alle posizioni di natura strettamente personale del debitore, ma nemmeno per quelle non apprese al concorso, sicché anche l'incapacità processuale del fallito, come prevista dall'art. 43 L. fall, non è priva di eccezioni. E', ammesso, pertanto, che il fallito possa agire in giudizio anche riguardo a rapporti patrimoniali se non compresi, in linea di diritto o di fatto, nel fallimento. Si osserva, infatti, che la mancata attivazione del curatore nella tutela giudiziaria di quei rapporti ben può fondare la loro ritenuta indifferenza rispetto agli scopi della procedura concorsuale e, in definitiva, la loro sostanziale non apprensione alle ragioni della massa (Cass. sez. U. 28/04/2023, n. 11287 in motivazione). Nello stesso senso, già in passato, si era affermato che il fallito conserva la capacità processuale in ordine alle situazioni giuridiche non comprese di fatto nella massa fallimentare (Cass. 17/03/1995 n. 3094). Su questa scia si sono mosse di recente le Sezioni Unite che hanno affermato il seguente principio di diritto «in caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati prima della dichiarazione di fallimento, il contribuente dichiarato fallito a cui sia stato notificato l'atto impositivo lo può impugnare, ex art. 43 L. fall., in caso di astensione del curatore dalla impugnazione, rilevando a tal fine il comportamento oggettivo di pura e semplice inerzia di questi, indipendentemente dalla consapevolezza e volontà che l'abbiano determinato; - l'insussistenza di uno stato di inerzia del curatore, così inteso, comporta il difetto della capacità processuale del fallito in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo e va conseguentemente rilevata anche d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo» (Cass. Ses. U. n. 11287 del 2023 cit.). Ne consegue che, nell'ipotesi in cui l'accertamento colpisca redditi generati dall'attività svolta dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento, sussiste la legittimazione di quest'ultimo ad impugnare l'atto impositivo. Ne consegue l'enunciazione del seguente principio di diritto: «in caso di rapporto d'imposta i cui presupposti si siano formati dopo la dichiarazione di fallimento, sull'assunto che il contribuente dichiarato fallito abbia continuato a svolgere attività in proprio, sussiste la legittimazione di quest'ultimo in ordine all'impugnazione dell'atto impositivo».