Il commercialista non risarcisce l’agenzia di viaggi priva di autorizzazione

L'agenzia di viaggi sprovvista dell'apposita autorizzazione a svolgere l’attività di intermediazione e che paga a titolo di Iva somme superiori a quelle effettivamente dovute, non può chiedere al commercialista il risarcimento dei danni patiti. Sarebbe, infatti, estremamente illogico che il legislatore da una parte vieta di esercitare l'attività senza autorizzazione e nello stesso tempo consente, sempre in assenza di autorizzazione di fruire del regime di cui all'art. 74-ter del d.p.r. n. 633/72. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 21944 del 2 settembre 2019. IL FATTO Una società avente ad oggetto lo svolgimento dell'attività di agenzia di viaggi, nel periodo compreso tra il febbraio del 1996 e l'agosto del 1998, aveva affidato ad un professionista l'incarico di curare la corretta tenuta delle proprie scritture contabili, in particolare ai fini dell'adempimento degli obblighi di legge in materia di Iva. Dopo la cessazione del rapporto, era emerso che il predetto professionista aveva commesso vari errori nella tenuta della contabilità. In particolare, non aveva tenuto conto del diverso regime fiscale previsto dall’art. 74-ter del d.p.r. n. 633/72 per le prestazioni erogate dalle agenzie di viaggi, a seconda che il servizio sia reso nella veste di mero intermediario (c.d. agenzia dettagliante), ovvero di produttore od acquirente di viaggi in nome proprio ma per conto dei clienti (c.d. tour operatori). In conseguenza dei suddetti errori, la società aveva pagato negli anni 1996-1998 a titolo di Iva somme superiori a quelle effettivamente dovute. Concludeva, pertanto, chiedendo la condanna del professionista al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti, danni indicati in due diverse voci: le somme pagate in eccesso a titolo di imposta; le somme erogate ad altro professionista incaricato di revisionare l'attività svolta dalla convenuta. Il professionista, dal canto suo, eccepiva che l'agenzia era priva dell'autorizzazione a svolgere l’attività di intermediazione, e di conseguenza non avrebbe potuto beneficiare del regime agevolato. Chiedeva, perciò, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice al risarcimento del danno per lite temeraria. Il Tribunale accoglieva la domanda dell'agenzia chiarendo che era stata dimostrata l'esistenza del contratto d'opera, che l'eccezione della mancata autorizzazione per svolgere attività di intermediazione era nuova e, dunque, non andava esaminata; vi era prova del danno consistente nella maggiore somma che la società era stata chiamata a sborsare per adempiere le pretese tributarie non dovute. Il verdetto di primo grado veniva, tuttavia, ribaltato in secondo grado. I giudici ritenevano infatti che il professionista aveva correttamente svolto la sua attività professionale senza creare alcun danno alla contribuente. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. In particolare, gli Ermellini evidenziano come l'agenzia di viaggio, per beneficiare del regime di cui all'art. 74-ter comma 2 del DPR n. 633 del 1972 dovesse essere abilitata, innanzitutto, all'esercizio della sua attività e, quindi, dovesse avere l'autorizzazione di cui art. 9 della legge n. 217 del 1983 (che abilita, appunto all'esercizio). Sarebbe, infatti, estremamente illogico che il legislatore da una parte vieta di esercitare l'attività senza autorizzazione e nello stesso tempo consente, sempre in assenza di autorizzazione di fruire del regime di cui all'art. 74-ter. Pertanto, l'autorizzazione di cui si dice rappresenta nel sistema della normativa richiamata il presupposto necessario per applicare il più agevolato metodo di calcolo dell'Iva previsto dalla stessa normativa di cui all'art. 74-ter del DPR n. 633 del 1972.

Lascia un commento Annulla risposta