Se il dipendente versa in una condizione di handicap di salute, nota al datore di lavoro, ai fini della prova del licenziamento discriminatorio - nel caso per il superamento del periodo di comporto – vige una parziale inversione dell’onere probatorio a favore del lavoratore. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11731 depositata il 2 maggio 2024, respingendo il ricorso di una società contro la reintegra e il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto (oltre al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali) disposta dalla Corte di appello di Firenze. La Sezione lavoro ricorda che costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore disabile, “perché la mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, converte il criterio, in apparenza neutro, del computo del periodo di comporto breve in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto, siccome in posizione di particolare svantaggio”. I datori di lavoro pubblici e privati (art. 3, co. 3-bis d.lgs. 216/2003) allora devono predisporre “ogni ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa”. Occorre chiarire, prosegue la Corte, che l’art. 40 Dlgs 198/2006, nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria promossi dal lavoratore, “non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente”. Un’agevolazione probatoria perseguita “mediante lo strumento di una parziale inversione dell’onere: dovendo l’attore fornire elementi fattuali che, anche se privi delle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, devono rendere plausibile l’esistenza della discriminazione, pur lasciando comunque un margine di incertezza in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria; sicché, il rischio della permanenza dell’incertezza grava sul convenuto, tenuto a provare l’insussistenza della discriminazione una volta che siano state dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere”. Questi principi, precisa la Cassazione, valgono “anche nell’ipotesi di discriminazione indiretta, realizzata mediante licenziamento per superamento dell’ordinario periodo di comporto nei confronti del lavoratore disabile” e valgono anche in riferimento alla consapevolezza del datore di lavoro dell’“handicap di salute” del proprio dipendente, “nel senso dell’onere del primo, una volta che sia edotto della condizione effettiva di handicap del secondo, di attivarsi per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente dipendenti dall’handicap noto, così da superare quell’incertezza su di sé negativamente ridondante, in quanto tenuto a provare l’insussistenza della discriminazione, una volta dimostrate le circostanze di fatto idonee a lasciarla desumere”. Così, tornando al caso concreto, la Corte territoriale ha accertato che l’effettiva condizione di handicap del lavoratore ha comportato la quasi totalità delle assenze per malattia computate ai fini del periodo di comporto, nonché il progressivo abbassamento di livello (dal IV al VI) delle mansioni e l’incidenza negativa sulla sua vita professionale, senza riscontrare alcuna carenza di prova a carico del lavoratore, in linea con i principi di attenuazione dell’onere probatorio.