Partecipa a una trattativa per induzione indebita e non è invece concusso chi versa del denaro per ottenere un giudizio tributario favorevole, aderendo alla proposta che arriva da uno dei componenti del collegio di commissione tributaria. Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12203 depositata il 20 marzo 2019. La conclusione impone la revisione della pena e il rinvio quindi a un’altra sezione della Corte d’appello. Quest’ultima infatti aveva sanzionato a titolo di concussione una vicenda che aveva visto un presidente di collegio di Ctr prospettare, attraverso intermediario, il rigetto di un ricorso in caso di mancato pagamento del 5% dell’importo in discussione. La Corte, invece, considera determinante l’incertezza complessiva dell’esito che neppure la “disponibilità” del presidente del collegio può dissipare. Infatti, «la volontà deviata di uno dei componenti dell’organo collegiale, anche ove questi rivesta la posizione di Presidente, non vale a segnare con certezza il risultato favorevole per il soggetto preteso concusso». È infatti il principio di maggioranza a governare la decisione finale con un peso del voto del presidente del tutto identico a quello degli altri componenti del collegio. E allora, la condotta di chi si convince a pagare nell’ambito di una trattativa indirizzata a ottenere l’esito favorevole di un giudizio intende costruirsi una chance di successo che, anche se suscettibile di stima economica o di un prezzo, non lo mette però in una condizione di soggezione rispetto a chi fa una richiesta di denaro per la prestazione. Gli attribuisce, invece, nella incertezza degli esiti, da declinarsi sia in positivo che in negativo, una posizione paritaria rispetto al proponente, che lo accosta a colui che intenda, per la prestazione resa, conseguire un lucro». Di qui la contestazione allora dell’induzione indebita.