Giovani, precari e a basso reddito: i più colpiti dalle nuove restrizioni

Ristorazione, cultura e sport tra i settori che hanno visto una maggior perdita di posti di lavoro durante il lockdown primaverile. Una situazione che oggi, con le restrizioni previste dal DPCM firmato il 24 ottobre rischia di peggiorare sensibilmente. È il quadro che emerge dall’ultimo focus della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro

Le nuove restrizioni anti-Covid su ristoranti, bar e palestre previste dal DPCM firmato il 24 ottobre 2020 “mettono in stand by” l’attività di una fetta di lavoratori giovani e a basso a reddito. Un segmento, quello dell’industria della ristorazione e dell’intrattenimento, già pesantemente colpito nell’ultimo anno. Tra il 2° trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2020, infatti, il numero degli occupati nel settore della ristorazione è calato di 158 mila unità, per una contrazione del 13%. Perdite importanti si registrano anche per le attività creative, artistiche e di intrattenimento, parimenti interessate dalle nuove chiusure, che lo scorso giugno segnavano un calo degli occupati del 6,6%, significativo per un settore che, pur contando piccoli numeri, è caratterizzato da un alto tasso di precarietà. Ma anche tra gli occupati nel settore dello sport il saldo di metà anno è di 7,4% lavoratori in meno. Saldi che entro fino anno, potrebbero, sensibilmente peggiorare. È quanto emerge dal nuovo focus della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Le nuove restrizioni: chi rischia il lavoro”, che a partire dal numero di lavoratori “persi” nei comparti citati, ne delinea il profilo.

Infatti, il totale dei lavoratori della ristorazione (1mln e 192 mila), della cultura (145 mila) e dello sport (93 mila), corrispondeva a fine 2019 a circa 1 mln 430 mila occupati, pari al 6,1% dell’occupazione.

Se si guarda all’età degli impiegati in questi settori, il 41,3% ha meno di 35 anni. Un valore particolarmente alto nell’ambito delle attività ristorative (42,2%) e di quelle artistiche e di intrattenimento culturale (41,9%), mentre con riferimento alle attività sportive, scende al 28,4%.

Inoltre, “solo” il 42,7% degli occupati ha un contratto a tempo indeterminato, contro una media nazionale del 64,1%. Il 25% ha un’occupazione a termine (contro l’11,7% della media degli occupati in Italia) e il 32,3% è un lavoratore autonomo (contro il 22,7% nazionale). La situazione è molto diversificata tra i vari ambiti. Nella ristorazione, settore di gran lunga più rilevante dal punto di vista numerico, a fronte del 45,8% di occupati a tempo indeterminato, il 29% è composto da autonomi e il 25,3% da lavoratori a termine. Nel settore dello sport, invece, il lavoro autonomo è di gran lunga maggioritario: è occupato in proprio il 66,4% dei lavoratori, il 22% ha un contratto a tempo indeterminato e l’11,5% determinato. Nell’ambito dello spettacolo, gli occupati appaiono, invece, quasi perfettamente tripartiti tra lavoratori autonomi (37,7%), a tempo determinato (31,2%) e indeterminato (31,1%).

Infine, guardando alla situazione reddituale degli interessati, più della metà (il 57,9%) percepisce un reddito netto mensile inferiore ai mille euro (contro un valore del 24,9% tra tutti gli occupati), con l’unica eccezione del settore sportivo che risulta più allineato alle retribuzioni medie. Nella ristorazione il valore arriva quasi al 60% mentre nel settore dello spettacolo al 53,1%; più nel dettaglio, il 16,3% ha una retribuzione netta mensile inferiore ai 500 euro, il 16,5% tra i 500 e 750 euro, e il 25,1% tra i 750 e 1.000 euro.

“Ancora una volta – ha dichiarato Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro – la mannaia è caduta su una popolazione già di per sé a rischio, come i giovani, che soprattutto se autonomi sono in quella fase della vita in cui stanno ‘costruendo’ il proprio futuro professionale. E non si tratta di un problema contingente: il vero rischio è che le chiusure determinino disoccupazione strutturale che vada ad aggiungersi a quella già esistente prima del diffondersi della pandemia”. “Inoltre, alla giovane età si accompagna anche un’alta presenza di donne: se si esclude lo sport, dove è predominante l’occupazione maschile, nella ristorazione il 49,4% sono lavoratrici; valore molto al di sopra della media nazionale e che deve allarmarci, poiché rischia di scoraggiare ulteriormente la presenza femminile nel mercato, già messa a dura prova dalla difficile conciliazione tra lavoro e vita domestica”, ha concluso.

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